domenica 7 luglio 2024

Punti di vista

 

L’uomo che spaccò l’Italia diventa “padre della patria” Per la destra nazione è fazione
DI MICHELE SERRA
Intitolare Malpensa a Berlusconi come ha annunciato gongolante il Salvini, uno che vive per irritare e dunque non può che essere entusiasta di avere dato la notizia - significa fare contenta una parte di italiani e offendere irrimediabilmente un’altra parte. (Chissà se sarà mai possibile, in un senso o nell’altro, che la soddisfazione di mezza Italia non sia ragione di mortificazione e di scandalo per l’altra mezza).
Nel caso, molto remoto, che il concetto di “patriottismo” tanto caro al governo tenesse conto, per davvero, della comunità nazionale, qualcuno, nella pur breve filiera politica che ha portato a questa decisione (Regione Lombardia, Enac, ministero dei Trasporti) avrebbe sollevato qualche dubbio: «Forse è meglio pensarci meglio, o rimandare, molti italiani non gradirebbero». Ma “patriottismo”, qui e ora, significa precisamente il contrario. Significa costruire una nuova identità nazionale escludente, che considera intrusi, o disfattisti, o antipatriottici (appunto) gli italiani non di destra. Definizione molto vaga e anche impropria, ma è per capirsi.
La beatificazione di Berlusconi è parte integrante di questo progetto. È la consacrazione a Padre della Patria del Padre della Destra. È la fazione che si autoproclama Nazione, un banale cambio di consonante, dopotutto.
Non ripeteremo, per quanto è ormai stucchevole, la geremiade di rimostranze che non solamentequesto vecchio quotidiano, ma una buona metà del Paese – non dunque una trincea di irriducibili – ha mosso, nei decenni, a Silvio Berlusconi. Tentiamo così il riassunto: i guai giudiziari, per puro sfinimento, possono anche passare in prescrizione, non senza che si mantenga acceso, e lampeggiante, almeno un asterisco che ricordi la corruzione di un magistrato. Ma la spaccatura del Paese in due tronconi sempre meno ricucibili, divisi su quasi tutto, a partire dalla sua persona ben prima che da contrapposizioni ideologiche,quella non potrà mai essere dimenticata.
L’uomo che scese in campo «per impedire ai comunisti di governare », avendo i comunisti governato praticamente mai, e al contrario avendo quasi sempre governato i suoi amici e i partiti votati da lui e dai suoi elettori, sembrò da subito il lupo che accusava l’agnello di intorbidargli l’acqua, e guastargli gli affari.
Non uno solo dei suoi comportamenti pubblici e privati si ispirarono al concetto di limite, che del Dna della democrazia è forse iltratto determinante. Nessuno spirito di servizio, nessuna umiltà civile nel suo leaderismo, solo la vanteria del riccone che insegna al mondo come si fa. Non un suo solo gesto internazionale, o parola spesa, consentì anche ai suoi oppositori di dire: però, almeno questo possiamo farlo nostro. Almeno questo, appartiene anche a me.
E vale aggiungere, a imperitura memoria, che non solamente l’ostilità politica, ma anche un vivo senso di imbarazzo, di avvilimento, di vergogna ha funestato per lunghi anni i pensieri della famosa “altra metà”. Un vero e proprio patimento personale, moltiplicabile per milioni di persone. Il cui solo torto fu, ed è ancora, se non di resistere, di esistere.
Ovviamente, sono capitate e capiteranno cose ben peggiori, dispute ben più laceranti che intitolare un aeroporto all’uomo che spaccò in due l’Italia. (A proposito: è lodevole il tentativo del bonario Tajani di trasformare, post- mortem , il fondatore del populismo italiano, nonché pioniere del populismo mondiale, nel capo spirituale della destra liberale. Se i falsi storici possono essere fondamento di un futuro migliore, auguriamo a Tajani di farcela). Ma anche il nome di un aeroporto può dire della determinazione di un governo non a governare, ma ad aggravare, se non a manomettere, le condizioni di una convivenza fin qui difficile ma tutto sommato decente (tranne negli anni orrendi del tritolo e del piombo).
Comunque Malpensa, per i milanesi, è l’aeroporto di Varese, se non di Sesto Calende, trasformato soprattutto per volontà leghista, e con ottime ragioni clientelari, in uno scalo internazionale sempre meno gradito – nonché assai meno raggiungibile – della beneamata Linate. Questo lenisce almeno in parte lo spirito offeso dei tantissimi milanesi non di destra: in fondo è stata espugnata solo una landa prealpina, è solo l’ennesima pagina del conflitto città/campagna. Inespugnabile da questa destra, Milano potrebbe insorgere solo il giorno che Linate, il suo vero aeroporto, fosse intitolato a Umberto Bossi.

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