Il non-Ponte sullo Stretto
DI MICHELE SERRA
La vicenda del Ponte sullo Stretto (del quale si parla dagli anni Cinquanta del secolo scorso) si ammanta di mistero; con sfumature di surrealtà.
In sostanza, e scusandomi se qualche dettaglio tecnico-amministrativo mi fosse sfuggito, la Camera ha approvato uno di quei decreti-cotechino che tritano in un unico insaccato i materiali più disparati: in questo caso si va dal sostegno all’orchestra sinfonica di Bari, alla gestione amministrativa della Laguna di Venezia, alla riforma del finanziamento delle imprese italiane in Africa, allo scorporo delle Grandi Opere in più fasi. Quest’ultimo punto, confuso nelmishmash, significa che i lavori per il Ponte possono partire anche in assenza di un progetto esecutivo definitivamente approvato.
In sostanza, la Camera ha detto: il Ponte si deve fare perché si deve fare. Come verrà fatto, con quali iter, quali autorizzazioni, quale progetto definitivo, lo si stabilirà strada facendo. Nel frattempo si può procedere agli espropri, stanziare quattrini e soprattutto annunciare al Paese che la prima pietra (la stessa posata simbolicamente da Berlusconi nel 2002?) è saldamente al suo posto. Dalla seconda in poi si procederà per volontà politica.
Bene inteso, la volontà politica è importante.
Ma in questo caso si sostituisce agli ingegneri, ai tecnici, ai periti, agli amministratori locali, e anche ai piloni, ai cavi d’acciaio, alle imbullonature, ai binari e all’asfalto. Costruisce il Ponte come un gioco di potere, come uno schiaffo ai critici e agli scettici. Il progetto Ponte è operativo a prescindere. Anche se non c’è e addirittura se non ci sarà mai. Così come Humpty Dumpty spiega ad Alice perché festeggiare il non compleanno, il governo spiega agli italiani come festeggiare il non Ponte. E come sempre, chi si accontenta gode.
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