lunedì 22 luglio 2024

Attorno al baratro

 

Della Loggia, tagli, schiforme: l’università “studia” da Orbàn
AUTONOMIA KAPUTT - Il prof caro a Meloni – già influentissimo su Valditara – vuole il pugno duro contro l’indipendenza degli atenei. Si va verso il dominio privato stile Ungheria
DI TOMASO MONTANARI
Cosa ha in mente Giorgia Meloni per l’università italiana? In mancanza di dichiarazioni esplicite, proviamo ad unire i vistosissimi puntini.
Ostentando disprezzo per l’autonomia costituzionale dell’università (cioè per l’autogoverno dei professori), la presidente del Consiglio è intervenuta più volte nel merito delle scelte di alcuni atenei (per esempio, nello scorso marzo, ha detto di considerare “preoccupante che il Senato accademico dell’Università di Torino scelga di non partecipare al bando per la cooperazione scientifica con Israele. E lo faccia dopo un’occupazione da parte dei collettivi”). Si è infallibilmente sintonizzato su queste frequenze Ernesto Galli della Loggia, che sul Corriere della sera del 10 aprile scorso ha proposto un equilibristico collegamento tra (parole sue) “il comportamento a dir poco timido degli organismi di governo di molti atenei di fronte alle agitazioni studentesche contro Israele” e una supposta crisi dell’intera università italiana, che dipenderebbe “in misura decisiva da un fattore soprattutto: la concessione di una estesa autonomia alle singole sedi universitarie”. Fingendo di non sapere che questa autonomia è stabilita direttamente dalla Costituzione (in reazione al controllo statale fascista degli atenei), Galli della Loggia contesta l’essenza stessa della democrazia accademica (“se si dà a un gruppo di docenti il potere di decidere sostanzialmente a proprio piacere quali corsi di laurea un ateneo debba aprire, con quali insegnamenti, e per giunta quali nuovi docenti debbano essere assunti… ”), e propone di ridare pieni poteri sull’università direttamente al governo. Si sarebbe tentati di liquidare queste enormità come fantasie di un coetaneo perfetto di Joe Biden: non fosse che, una manciata di settimane dopo, lo stesso Galli della Loggia viene nominato presidente di una commissione istituita dal Ministero dell’Università e la ricerca “per l’analisi di adeguati interventi di revisione dell’ordinamento della formazione superiore, al fine di incrementare il livello di efficienza della governance istituzionale, delle logiche di reclutamento e di gestione del personale docente nonché di razionalizzare l’offerta formativa”. Una scelta non solo non concordata, ma nemmeno annunciata, alla Conferenza dei rettori e al Consiglio Universitario Nazionale: una specie di dichiarazione di guerra al sistema universitario. Nei corridoi del ministero si fa notare che la scelta non dipenderebbe dalla ministra Bernini, ma sarebbe un’imposizione diretta di Palazzo Chigi: e si rammenta che l’ombra dell’ottuagenario professore si era già stesa sulla scuola quando il ministro Valditara aveva nominato a presiedere la commissione che deve rivedere le indicazioni nazionali per la scuola dell’obbligo del primo e secondo ciclo, Loredana Perla, coautrice dell’ultimo libro diErnesto Galli della Loggia, Insegnare l’Italia, una proposta per la scuola dell’obbligo. Eccola, la famosa egemonia culturale della destra: non conquistata sul campo delle idee, ma su quello dei decreti governativi.
Altri (non trascurabili) puntini. All’inizio di giugno è stata approvata una legge-delega che impegna il governo a presentare, entro 18 mesi, una riforma dell’università che si presenta (nel testo della delega) così ampia da permettergli di rifare dalle fondamenta il sistema universitario: un’arma letale, costruita tagliando radicalmente fuori il Parlamento, e dunque impedendo un dibattito di idee sull’università che coinvolgesse il Paese. Infine, è di questi giorni il taglio al finanziamento statale dell’università: secondo i calcoli della Conferenza dei rettori si tratta di una diminuzione di 513.264.188 euro, cui va aggiunto il mancato adeguamento all’inflazione (alla quale sono agganciati gli stipendi universitari, nei bilanci degli atenei) per un ammanco di circa un miliardo di euro. Un risparmio trascurabile per le finanze dello Stato, ma una mazzata micidiale per un sistema universitario che è il meno finanziato dell’Unione europea (Romania a parte) e dell’Ocse (si rammenti, per dire, che l’Italia investe circa 15.000 per studente universitario, contro i 40.000 della Germania). Il risultato finale non è difficile da prevedere: stroncare il sistema delle università pubbliche in presenza, facendo spazio alle private telematiche for profit (il cui cartello più importate è presieduto da Luciano Violante, buon amico della premier fin dal tempo del suo discorso di apertura ai ‘ragazzi di Salò’), e ridimensionare l’odiata autonomia dei professori, colpevoli di pensiero critico. In Ungheria, l’amato Orbán ha consegnato le università pubbliche a dieci fondazioni private controllate dal potere economico e dal suo potere politico: “Vogliono assumere il potere intellettuale dopo il potere politico ed economico”, commentò Attila Chikan, professore all’università Corvinus a Budapest ed ex ministro nel primo governo Orbán. Ora sembra proprio che tocchi all’Italia.

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