Il re è rinco
di Marco Travaglio
A un certo punto del raccapricciante faccia a faccia dell’altra notte, si è avuta la netta sensazione che, se Trump avesse chiesto a bruciapelo a Biden “come ti chiami?”, il Capo del Mondo Libero non avrebbe saputo rispondere. Ma, per tutti i 90 minuti del derby fra il mascalzone esagitato e il mascalzone rintronato, le domande che galleggiavano sul capoccione phonato del primo e su quello incollato del secondo erano altre. Come ha potuto la Culla della Democrazia ridursi a una scelta tanto imbarazzante? Chi sta guidando davvero gli Usa e l’Occidente verso la terza guerra mondiale? Per quanto tempo ancora i dem americani e i commentatori internazionali al seguito pensavano di poter negare ciò che il mondo intero vede a occhio nudo da anni sullo stato pietoso in cui versa il “commander in chief”? Solo pochi giorni fa Repubblica spacciava una doverosa inchiesta del WSJ sulla salute mentale di Biden per un “attacco dei repubblicani”. E Domani spiegava che il presidente Usa sta una favola, ma i “trucchi” e le “fake news a basso costo” della “campagna di Trump vogliono farlo apparire confuso, lavorando su inquadrature e tagli per trasmettere un’idea falsata”. Certo, come no.
Poi l’altra sera, come nella fiaba del re nudo ma senza bisogno del bambino, tutto il pianeta ha visto Rimbambiden al naturale: saltava di palo in frasca, biascicava frasi incomprensibili (poveri interpreti), infilava il prezzo dell’insulina nella risposta sull’Ucraina e i chip coreani in quella sull’età, vantava come un trionfo l’invereconda fuga da Kabul, ripeteva che Putin vuole invadere la Polonia e poi l’intera Europa, cose così. E non di fronte a un campione di dialettica, ma a un odioso e rozzo bullaccio che ficca i migranti e i veterani dappertutto, spara (anche lui) cifre a casaccio e mente (anche lui) a ogni respiro. Al confronto, il peggior politico italiano pare Churchill. Biden s’è distrutto da solo, con scene pietose che ricordano il tramonto dell’altro impero, quello sovietico, plasticamente incarnato dal corpo mummificato e surgelato di Breznev issato sulla balconata del Cremlino per mostrarsi ancora vivo con meccanici scatti del braccio. Eppure, fino all’altroieri, chi osava dire che l’Occidente è in mano a un rinco era un nemico della democrazia e un servo di Trump, oltreché di Putin. E i nemici delle “post-verità” trumpiane accreditavano quella bideniana per “non fare il gioco” di The Donald, senza accorgersi di lavorare proprio per lui. Perché, a quattro mesi dal voto, è difficile cambiare cavallo in corsa. E perché la reputazione della “democrazia” americana, diretta per finta da Rimbambiden e per davvero da una cricca di fantasmi mai eletti che gli fan dire e fare ciò che vogliono, è irrimediabilmente compromessa.
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