Affari e amicizie pericolose Cozzani, il “cavallo di Troia” che inguaia il governatore
DI GIUSEPPE FILETTO
GENOVA — Sembra di vederlo, Matteo Cozzani, che a 39 anni, da capo di gabinetto del governatore ligure, sobbalza sulla sedia e dice a Giovanni Toti: «O mio Dio i riesini no... quelli mi squartano!», riferendosi a una delle comunità siciliane più presenti a Genova (e che per i pm ha contatti con la criminalità organizzata) alla quale il presidente della Regione nel 2022 vuole chiedere un aiuto per il bis di Marco Bucci, sindaco di Genova. Perché già nelle Regionali 2020 dal quartiere operaio di Certosa erano arrivati 500 voti per i tre candidati della lista Toti. In cambio di posti di lavoro.
Sono i giorni in cui Regione e Comune di Portovenere promuovono la trasformazione della Palmaria nella Capri della Liguria — progetto spinto da una delibera di giunta scritta un anno prima dall’allora sindaco Cozzani — per l’isola patrimonio Unesco dal ‘97. In questa impresa Matteo coinvolge il fratello Filippo, oggi indagato. Quell’idea di Toti e Cozzani è l’origine del loro rovinoso destino. La Procura spezzina apre l’inchiesta “madre” e la Finanza intercetta il voto di scambio in Regione. Il filone è trasmesso a Genova e si scopre il verminaio.
Quella promessa di voti in cambio di posti di lavoro però non era stata mantenuta. D’altra parte Cozzani ad Ilaria Cavo (attuale deputata) che diserta la cena elettorale di Toti, diceva: «Ma vieni con Giovanni, dài i santini... È come la mortadella, poca spesa tanta resa. Dopo il voto, blocchi i numeri e arrivederci». E sì, i riesini sono di parola, ma nelle intercettazioni non tollerano i «quaquaraquà ». Tant’è che un mese dopo le elezioni, Italo Testa confida al gemello Arturo: «Vado a Genova, a quello due parole gliele voglio dire, e poi lo faccio anche cagare... Gli faccio vedere io... Dico, ma cu minchia hai a chi fari ?». Quello lì è Cozzani.
Eppure, il braccio destro di Toti finito ai domiciliari, al governatore aveva detto: «Stai lontano da quelli lì, ti mandano in galera». Invece, Toti ai domiciliari lo ha mandato proprio lui e ora in Regione lo chiamano “Cavallo di Troia”. Perché il maremoto che ha travolto la Liguria arriva dall’apertura della prima indagine nella città dell’Arsenale. Cozzani è nato lì, anche se la famiglia è originaria di Riccò del Golfo, sulle alture delle Cinque Terre. Lì fa elementari e medie, ricorda il sindaco Loris Figoli (FI): «Ma io che lo conosco, nelle intercettazioni vedo più vulgata che efficacia. Non l’uomo spietato».
A Spezia, il papà fa fortuna con i lavori stradali. Matteo studia allo scientifico, poi entra nell’azienda di famiglia col fratello Filippo. Ed anche in Forza Italia. Ma il sindaco Figoli precisa che «i Cozzani da sempre hanno avuto un approccio con la politica». Anche per affari. Matteo conosce Toti, entra nel suo cerchio magico. Ambizioso, ottiene la candidatura nel 2013 a sindaco di Portovenere; alle Regionali 2020 è coordinatore della lista del presidente. La scalata in Regione come capo di gabinetto, «se l’è meritata», ma il sabato torna a Spezia e, in Porsche, scorrazza in viale Italia con Miss Padania accanto. Adesso gli contestano la corruzione elettorale più l’aggravante dell’associazione mafiosa. Cozzani, infatti, al deputato forzista Alessandro Sorte si rivolge per chiedere aiuto ai fratelli Testa di Boltiere ma nati a Riesi. Arturo è presidente dell’Associazione Riesini nel Mondo. Ma due mesi prima delle elezioni, Cozzani, in viaggio verso Genova confida alla deputata forzista Manuela Gagliardi: «Vado a Certosa per vedere l’associazione». Ma è preoccupato: «Mi frega soltanto che un bel giorno non vorrei trovarmi la Dia in ufficio». Così è stato.
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