mercoledì 22 maggio 2024

Game Over

 

Toti, il tempo è scaduto
DI STEFANO CAPPELLINI
Non saremo così ipocriti, nel suggerire le dimissioni a Giovanni Toti, da sostenere che lasciare la carica di presidente della Regione Liguria gli servirà per difendersi meglio dalle accuse che gli muovono i pm di Genova. Non è nemmeno detto che sia vero e Toti, da presunto innocente quale è, ha il diritto di difendersi come crede. Non saremo nemmeno così prosaici da consigliargli di dimettersi per ottenere la libertà personale, perché suonerebbe un po’ meschino, e molto poco rispettoso di uno Stato di diritto, accettare il principio generale che si possa barattare la fine della custodia cautelare con la rinuncia a una carica. Ovviamente ci sono casi nei quali le dimissioni, che siano da un ente pubblico o privato, possono oggettivamente far venire meno uno dei criteri che giustificano la custodia cautelare. Nel caso di Toti il motivo indicato dai pm per procedere alla restrizione della sua libertà personale è il rischio di reiterazione del reato, e francamente pareva basso anche in caso di permanenza in carica, vista la pubblicità dello scandalo, il quadro oggettivo nonché la detenzione di altri indagati.
Bisognerebbe mettersi alle spalle la lunga stagione nella quale la custodia cautelare è stata intesa troppo spesso come un mezzo per ottenere risultati di indagine o incidere sulla posizione degli indagati. La carcerazione preventiva ha — dovrebbe avere — dei confini precisi e non può mai diventare un mezzo di pressione, qualunque sia il fine perseguito.
Troppo spesso, e sempre più negli ultimi anni, si confonde il garantismo con l’innocentismo. Sono usati come sinonimi ma non lo sono. Garantismo è consentire a tutti, innocenti e non, di affrontare ogni passaggio di una vicenda giudiziaria, dalle indagini alla sentenza, potendo contare sul rigoroso rispetto delle regole e su una piena e sostanziale parità tra accusa e difesa. Risultare colpevoli alla sentenza, o anche apparire tali prima del processo, persino essere rei confessi non giustifica alcuna deroga e alcuna violazione.
Useremo invece, per auspicare le dimissioni di Toti, argomenti repubblicani ai quali un rappresentante delle istituzioni non dovrebbe essere insensibile. Toti sa bene che le accuse da cui deve difendersi non sono rivolte a lui in quanto privato cittadino. Investono il ruolo che ha ricoperto in questi anni e una amministrazione pubblica di cui lui è guida e immagine. Toti ha il diritto di difendersi come ritiene ma ha il dovere dipreservare l’istituzione. Non sappiamo, come detto, se dimettersi lo aiuterà a sostenere meglio la sua difesa, glielo auguriamo, ma non c’è dubbio che metterà la Regione, bene comune, al riparo dal discredito e dalla paralisi. C’è infatti anche da considerare quanto importante sia che la Liguria possa continuare a essere amministrata senza rallentamenti e ostacoli, e questo vale in generale e più ancora nello specifico, dato che si appresta a gestire una fetta enorme dei finanziamenti garantiti dal Pnrr. Le dimissioni non sono una ammissione di colpevolezza. Sono il gesto dovuto alla cittadinanza tutta, senza distinzioni di credo politico, per separare il proprio destino personale da quello della Regione. Un atto di responsabilità necessario.
È immaginabile che Toti proverà a spendere tutte le sue ragioni nell’interrogatorio previsto tra pochi giorni, anticipato rispetto alle previsioni. Lì dovrà ribattere alle accuse penali e soprattutto portare buoni argomenti a supporto della tesi difensiva secondo la quale i soldi versati al suo comitato elettorale dall’imprenditore Aldo Spinelli erano effettivamente erogazioni liberali e non tangenti mascherate. Ma se lascerà la sua carica, forse Toti potrà rispondere meglio a una domanda che non gli faranno i magistrati, perché non riguarda il penale e non ha a che fare con l’esito giudiziario della sua vicenda, e la domanda è: che Paese è quello nel quale chi ha e chi possiede può indirizzare la politica grazie alla forza del proprio portafoglio? Poniamo che i finanziamenti di Spinelli non siano reato: allora tutto bene? È normale che la politica funzioni così? Un comitato elettorale al servizio della plutocrazia? Va bene che ormai in Italia pare non si possa discutere e accertare nulla se non c’è l’ordinanza di un pm o la sentenza di un gip da sventolare all’interlocutore, ma forse su questo Toti, da non governatore, qualcosa dovrebbe spiegare all’opinione pubblica.
Magari sarebbe utile anche a rilanciare un dibattito sul finanziamento pubblico ai partiti non egemonizzato dai teorici della casta. Dimettersi è urgente. Ma oltre a non delegittimare le istituzioni nelle situazioni straordinarie, sarebbe utile non svilirle in quelle ordinarie. La speranza è che il destino della politica non sia definitivamente quello di elargire favori retribuiti, illeciti o meno non è qui che si decide, a chi ha facoltà di comprarseli.

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