Contano gli avi o contiamo noi?
DI MICHELE SERRA
La storia del nazista americano Frank Meeink che, grazie a un test del Dna, scopre di avere “sangue ebraico” e diventa un fervente ebreo ortodosso (la racconta Anna Lombardi su questo giornale) ha almeno un precedente. È la storia (raccontata inun docu-fiction di una decina di anni fa) del politico nazista ungherese Szegedi, che ha compiuto l’identico percorso: quando ha scoperto di essere in parte ebreo ha deciso di diventarlo radicalmente, sposando l’ortodossia religiosa.
Nel caso di Meeink colpisce, e un poco fa sorridere, il fatto che la sua “percentuale” di ebraismo sia calcolabile nel 2,5 per cento (una trisnonna, pare). E che abbia interpellato un rabbi per avere certezze che quella esigua percentuale di “sangue ebraico” gli bastasse per considerarsi ebreo a pieno titolo. È una domanda — io penso — improponibile per ogni essere umano e per ogni “tipo” di sangue (ma esistono, poi, “tipi” di sangue?): non essendo pensabile che le scelte etiche, culturali, politiche di una persona possano essere determinate dalla sua “fedeltà” al Dna.
Lambiccarsi il cervello sugli avi può essere interessante se si ha curiosità delle radici, ma il fatto che possa o debba avere una qualche influenza su ciò che si crede, su ciò che si sceglie, sulle idee che si professano, mi sembra insensato.
Avendo io un nonno sardo, devo cantare “a tenore” davanti a un nuraghe? O posso esimermi?
Ma poi, se un antisemita, per non esserlo più, ha la necessità di scoprirsi semita, dove vanno a finire i concetti dell’uguaglianza e della tolleranza, che sono universali, riguardano tutti e non richiedono alcun test del Dna? Se avete sospetti sul vostro grado di tolleranza, mi raccomando, non chiedetevi mai che tipi erano i vostri avi.
Chiedetevi che tipi siete voi stessi: è un materiale di indagine molto più recente.
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