Diffidiamo delle imitazioni
di Michele Serra
L'Aquila sarà capitale italiana della Cultura per il 2026, è una bella città ed è una bella notizia, il terremoto è un fantasma da scacciare e una cicatrice da sanare, pazienza per i sospetti che la nomina (governativa) valga come ricompensa per il voto quasi compatto degli aquilani per la destra. È il famoso spoils system (in italiano, spartizione del bottino), oggi a te domani a me, naturalmente contando che un domani sia ancora ipotizzabile.
Piuttosto, colpisce leggere che gli intendimenti dell’Aquila, espressi nelle carte presentate per la candidatura, siano così declinati, in cinque punti: multiculturalità, multiriproducibilità, multidisciplinarietà, multinaturalità, multitemporalità. Vengono le traveggole solo a leggerle, sembrano il parto della più efferata cultura di sinistra, parolaia e vaga, velleitaria, illeggibile. Cose da pierre, cose da comunicazione modaiola.
Ma come? Noi qui ad aspettare, sia pure da spettatori pronti alla critica e financo al pernacchio, la restaurazione dei bei tempi andati, le tradizioni in palmo di mano, la lenticchia e la patata, gli arrosticini e le volarelle (e Lollobrigida benedicente), le chiese e le fontane, le processioni e i miti fondanti, le pietre e i monti, i canti antichi e solenni, la catena delle generazioni, magari l’emigrazione potente e feconda degli abruzzesi come contributo decisivo al progresso del mondo (tutte le migrazioni lo sono), e insomma un’alternativa vigorosa, e reazionaria, a questa modernità modaiola e querula. E invece: questo multi-blabla? Manca solo qualche cenno alla trasversalità e a qualche work in progress. Ma siamo impazziti? Vogliamo una destra di destra (possibilmente non manesca, ma di destra).
Diffidiamo delle imitazioni.
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