domenica 18 febbraio 2024

Intervista

 

“Su Gaza la Rai dice bugie, i miei coetanei non la guardano più”
FLAVIA CARLINI - Scrittrice e attivista
DI TOMMASO RODANO
Tra i mille studenti sotto la sede Rai di Viale Mazzini c’è anche Flavia Carlini, 28enne scrittrice e attivista digitale. Martedì i suoi video da Napoli hanno fatto conoscere ai 247mila followers su Instagram le cariche della polizia contro i manifestanti pro Palestina (e sono stati condivisi ben oltre il perimetro del suo pubblico). “Non è tanto la violenza della celere che mi ha sconvolta – spiega oggi – ma il fatto che gli agenti si siano schierati in tenuta anti sommossa contro un centinaio di persone disarmate: mi è parso fosse tutto predisposto perché andasse così. E mi hanno scioccato ancora di più le persone della Rai che ridevano e ci facevano video mentre venivamo picchiati”.
C’è un problema di repressione del dissenso?
Mi fa davvero ridere che quattro parole pronunciate a Sanremo da due artisti abbiano scatenato una reazione del genere. Credo che “stop al genocidio” sia una delle cose più banali che potessero essere dette, non è stato nemmeno nominato il popolo palestinese. Eppure ha innescato un meccanismo di censura politica, informativa, istituzionale. È lo specchio limpidissimo dei valori e degli interessi della politica italiana.
Manifestate nonostante il silenzio dei media, il disinteresse di quasi tutti i partiti, l’ostilità delle forze dell’ordine. Cosa vi porta in piazza?
La medaglia ha due lati. Uno umano: non è una questione geopolitica, culturale, religiosa. Trentamila persone sono state sterminate: stare in piazza è una questione di decenza e umanità. Ma è anche una protesta fortemente politica, perché la Rai dovrebbe essere di tutti e sta raccontando il falso. Riconduce tutto al 7 ottobre, ignorando quello che è successo prima e quello che è successo dopo.
Perché?
Mi pare chiaro: l’Italia ha enormi interessi economici in Israele, è un partner commerciale e geopolitico, dalle licenze del gas fino alla vendita di armi.
I tuoi coetanei guardano poco la televisione e pochissimo i telegiornali.
Meglio per loro, è una forma di autotutela per conservare una coscienza critica.
E invece magari si informano con i tuoi video, questo come ti fa sentire?
Ne sento la responsabilità, anche se non ho la pretesa di sostituirmi a un media. Ovviamente non sono un giornale e non sono nemmeno una giornalista: al di là del seguito sono una cittadina comune.
Chi ha meno di 30 anni difficilmente si avvicina a un partito politico o frequenta i media tradizionali. Perché?
Non posso fare discorsi generazionali, ma rispondo per me. Non mi rispecchio in nessun partito e non ho fiducia in nessuno dei sistemi informativi attuali. L’informazione dovrebbe vigilare sul potere e invece ne è totalmente asservita per ragioni politiche o economiche. Non trasmette alcuna analisi critica della società. Un’informazione corretta dovrebbe aiutare a porci delle domande, quella italiana punta invece ad anestetizzare, a fornire delle risposte semplici, a dividere in modo manicheo quello che è bene da quello che è male.
Oggi in piazza ci sono forse mille persone, era lecito sperare fossero di più? E crede si possa mobilitare una massa critica più grande?
Molti hanno paura. Dopo i fatti di Napoli in tanti mi hanno scritto che non se la sentivano di scendere in piazza. Non si fidano del governo e delle forze dell’ordine, e come biasimarli? Io però credo moltissimo nelle potenzialità di questa mobilitazione. Ho visto una crescita esponenziale della consapevolezza e della presa di coscienza delle generazioni più giovani. Certo, se il telegiornale mostrasse ogni sera il numero di morti della guerra, oppure i femminicidi… senza tutti i buchi del sistema informativo sarebbe più semplice, ci sarebbero più persone in piazza.

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