Le vittime del crollo del cantiere Esselunga, Mohamed e gli altri trasfertisti del cemento: “Su e giù per l’Italia per un pugno di euro”
di Azzurra Giorgi Andrea Vivaldi
Il più giovane aveva 24 anni. «Era solo un ragazzo — sussurra il padre in lacrime davanti al cantiere — il mio ragazzo. E gli è crollato tutto addosso». Si chiamava Mohamed El Ferhane, era originario del Marocco, e come i suoi colleghi operai morti nella strage del cantiere Esselunga a Firenze, abitava nel bresciano. Da due anni e mezzo stava a Palazzolo sull’Oglio. Quelle vittime straniere, provenienti tutte dal nord Africa, dopo un giorno di scavi senza sosta tra le macerie hanno ritrovato finalmente un nome. Un’età. E una storia. Erano trasfertisti, si spostavano su e giù per l’Italia spediti in nuovi cantieri da costruire. Se riuscivano, mettevano da parte qualche soldo che poi spedivano in patria per mantenere le famiglie. Lo faceva Taoufik Haidar, 43 anni, anche lui a lungo a Palazzolo sull’Oglio prima di spostarsi a Chiuduno in provincia di Bergamo.
«Un gran lavoratore» raccontano dalla sua cittadina. Da un paio di mesi aveva cambiato ditta. Viaggiava settimana dopo settimana. E poi inviava parte dello stipendio alla moglie e i due figli, di 12 e 9 anni, in Marocco. «Mi ha mandato un messaggio vocale venerdì alle 6.40 — dice suo cugino — . Stava per entrare in cantiere. Mi ha detto “Stasera torno. E poi sabato ci vediamo”. Invece è morto». La sera del crollo, la sorella e il nipote di Taoufik, entrambi residenti a Perugia, sono stati avvisati. E ieri mattina sono corsi a Firenze. Sono arrivati anche altri amici e colleghi dal nord Italia. «Lui era una brava persona — racconta suo nipote — . Non so come possa stare mia mamma, il dolore che prova non si può spiegare».
Haidar conosceva bene El Ferhane: erano nati nello stesso paese in Marocco e qui si erano ritrovati occupati per la stessa ditta. Dal loro paesino c’è chi li ricorda anche per la passione per il calcio, con le serate a festeggiare la loro nazionale durante i Mondiali di calcio. Mohamed Toukabri aveva invece 54 anni, radici tunisine, ed era partito da Genova prima di trovare la morte nel cantiere di Firenze. L’ultimo operaio disperso è stato identificata solo ieri: Bouzekri Rachimi, 56 anni e originario del Marocco. Ma il suo corpo, finito sotto il peso di tonnellate di macerie, ieri sera non era stato ancora recuperato. Venerdì mattina, poco prima delle 9, il gruppo degli operai stava facendo una colata di cemento. Poi quella trave, posta a 10-15 metri di altezza, ha ceduto ed è venuto giù tutto. Ogni cosa è stata travolta. Tre i feriti soccorsi. Poi una prima vittima, riconosciuta ed estratta dalle macerie: Luigi Coclite, 60 anni e già con gli occhi rivolti alla pensione. Gli mancavano una manciata di anni. Aveva una moglie, due figli, era originario dell’Abruzzo ma aveva casa da anni in provincia di Livorno. La magistratura ora svolgerà le indagini. Dovrà capire se gli operai nel cantiere, e in particolare vittime e feriti, avessero contratti a norma, anche come inquadramento e formazione. E nel caso dei tanti stranieri se possedessero la documentazione per stare in Italia. Sembra, dalle prime informazioni, che due di loro non avessero il regolare permesso di soggiorno. Un sospetto importante, che potrebbe indirizzare le indagini anche verso nuovi scenari. El Ferhane dicono suoi parenti, aveva fatto richiesta ma era ancora in attesa di ricevere il permesso. Alcuni sindacati raccontano anche di un fenomeno in Lombardia di permessi di soggiorno modificati, e intestati ad altri, per permettere anche ad alcuni irregolari di lavorare. Non è detto che questo il caso, ma verranno esaminate le posizioni di tutti. Come molti immigrati in Italia, anche le vittime di Firenze avevano trovato in questi anni un impiego nell’edilizia. A volte suggerendosi le ditte con i passaparola. Ultimamente erano occupati in due ditte tra Brescia e Bergamo, che avevano ricevuto in subappalto parte della costruzione del nuovo supermercato Esselunga. Accanto a loro, venerdì mattina alcuni dipendenti si sono salvati per caso. C’è chi è arrivato più tardi del solito nel cantiere. Un ragazzo poco più che ventenne è sfuggito alla morte perché quel giorno aveva scambiato la sua postazione con un altro che si era allontanato poco prima. «Io ho lavorato come carpentiere in Svezia, Austria, Francia — racconta il giovane fuori dalla medicina legale di Careggi, dove sono state portate le salme — . La sicurezza là c’era. In questo cantiere secondo me no». Il giorno dopo la tragedia davanti al cantiere sono arrivati amici e famigliari. Stretti uno accanto a l’altro. Le lacrime. Una frase ripetuta per tutta la mattina: «È troppo il dolore». Poi il viaggio all’obitorio. E la rabbia per la sicurezza. «Sono 20 anni che vedo cantieri. Qui c’era qualcosa che non andava — dice il cugino di Taoufik — . Mancavano i parapetti. Ho pensato a cosa sarebbe successo se il supermercato fosse stato aperto. Sarebbero morte centinaia di persone».
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