Meloni frega i trattori, i giornaloni li snobbano
DI DANIELA RANIERI
Abbiamo letto su Repubblica un editoriale sui “nuovi kulaki”, che sarebbero gli agricoltori e gli allevatori che stanno protestando in mezza Europa, e ci siamo fatti l’idea che questi siano, com’erano nella Russia zarista, latifondisti privilegiati che stanno per essere spazzati via dal comunismo dei soviet. Studiata un po’ la materia, però, abbiamo dovuto riporre lo spumante per altra occasione.
Coloro che la grande stampa sovvenzionata e padronale fa passare come “agrovandali” (Il Foglio) e “vecchi forconi” che “mettono a ferro e fuoco la capitale belga” (Rep) sono i lavoratori che materialmente producono ciò che mangiamo, ed è solo per la famosa eccezione che conferma la regola che Michele Serra si chiede, sul giornale degli Elkann, come mai quando vediamo comparire i trattori non sappiamo come prendere posizione, al contrario di quando vediamo scioperare gli operai. Invece la stampa padronale sa benissimo che posizione prendere, in entrambi i casi: bisogna stare sempre dalla parte dei padroni che stanno più in alto.
Per capire come sia tutta questione di ciò che Marx chiamava “struttura”, bisogna guardare all’atteggiamento del governo guidato dalla underdog Meloni, che all’Agricoltura (e Sovranità alimentare!) ha messo suo cognato perché tra i suoi parenti era il più meritevole. Lollobrigida, nel tempo libero tra un trapianto di capelli forse eseguito in Turchia (in spregio alla sovranità tricologica) e un treno ad alta velocità fermato nella campagna romana, si è recato a Verona alla Fieragricola, dove ha declamato davanti a qualche agricoltore amico: bisogna “proteggere il Made in Italy perché siamo una nazione piccola e se non difendiamo questo livello di qualità, il giusto prezzo, il giusto reddito dei nostri agricoltori, noi come nazione perdiamo il senso di esistere!”; poi ha espresso dolore per una bandiera della Coldiretti bruciata dai manifestanti a Viterbo.
Il governo, per bocca della autorevole Santanchè (a proposito: ha poi pagato fornitori e Tfr? È vero che la sua azienda intascava finte Casse integrazione e bonus pandemia?), ha spiegato che gli agricoltori ce l’hanno con l’Europa, non col munifico governo di destra. Salvini, che come al solito non sa manco di cosa parla, emette uno struggente: “La Lega non lascerà soli gli agricoltori di fronte alle scelte scellerate dell’Europa”.
Peccato che siano gli stessi manifestanti a smentirli. Se è vero che vengono dall’Europa l’intesa col Mercosur (mercato di libero scambio dell’America latina), che porterebbe a un’invasione sul mercato di prodotti non italiani, e la Politica agricola comune (Pac), che impone di tenere a riposo il 4% dei terreni per accedere ai contributi comunitari, è stato il governo a reintrodurre l’Irpef sui terreni agricoli, cioè a tassare vieppiù una categoria in difficoltà; è il governo a orientare la politica energetica nazionale appoggiando la dispendiosa guerra in Ucraina e la demente logica atlantista delle sanzioni alla Russia, che hanno punito Putin con una crescita del 3% del Pil e premiato noi con un balzo dei prezzi del gasolio agricolo; è la Meloni a dire “abbiamo portato da 5 a 8 miliardi i fondi del Pnrr per l’Agricoltura”, fingendo di aver deciso di fronte alle proteste un aumento annunciato a novembre e dunque già noto agli agricoltori, i quali dicono che comunque quei fondi vanno alle multinazionali.
Povero Lollobrigida: mentre lui faceva battaglie autarchiche contro la farina di insetti e la carne sintetica (un divieto, questo, su una cosa che non esiste ancora e che potrebbe essere dichiarato inapplicabile dalla Commissione europea) la “struttura” prendeva coscienza della fregatura (l’agricoltore Danilo Calvani: “Hanno costituito il ministero della Sovranità alimentare, ma noi non ce ne siamo proprio accorti”).
Quanto potrà continuare Meloni a fingere che sia colpa dell’Europa e delle élite ecologiste? Il governo è del tutto in linea coi padroni delle ferriere che scaricano sui produttori i costi della transizione energetica a vantaggio dei ricavi della grande distribuzione, la quale decide i prezzi dei prodotti (che per le famiglie sono sempre più cari, ma per i quali i contadini si vedono riconoscere il 10,4% in meno rispetto all’anno scorso) e non ha nessuna intenzione di intaccare i maxi-profitti delle multinazionali.
“La transizione ambientale non è un pranzo di gala”, ammonisce Giannini su Rep, dimenticando che le aziende agricole italiane sono per il 93,5% famigliari; ciò su uno dei giornali di quella ex Fiat che ha ricevuto dallo Stato 220 miliardi dal 1975, che oggi nelle vesti di Stellantis ha preso un miliardo di incentivi solo nel 2024 e il cui Ceo Tavares minaccia di portar via gli stabilimenti nazionali se non avrà altri soldi dallo Stato, cioè nostri.
Scriveva Marx: “L’interesse dei contadini non è quindi più, come ai tempi di Napoleone, in accordo, ma in contrasto con gli interessi della borghesia, col capitale”.
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