Dire terrorismo tanto per dire
DI MICHELE SERRA
Secondo l’eurodeputata leghista Ceccardi, Ilaria Salis deve «restare in galera» perché bisogna «ribadire sempre la lotta al terrorismo rosso». Si registra, con sollievo, un importante passo in avanti sul cammino del garantismo: non ha detto, Ceccardi, “marcire in galera”, espressione prediletta nella comunicazione social di molti leghisti; e non ha aggiunto “buttate via la chiave”, coloritura retorica amatissima dal suo leader Salvini.
Bisogna dunque dare atto a Ceccardi di avere saputo contenere il suo evidente entusiasmo per la carcerazione di Salis: una prova di lenta, ma decisa, maturazione democratica.
Quanto alla detenzione in catene di Salis nell’ambito della «lotta al terrorismo rosso», Ceccardi deve solo sperare che la stessa Salis, e il suo combattivo e dignitosissimo padre, non sappiano che davvero Ceccardi ha scritto quelle parole. Perché potrebbe partire, versus l’eurodeputata leghista, una querela di non facile gestione, visto che l’accusa per la quale Salis sarà processata è di lesioni aggravate (guaribili in 5/7 giorni, per la precisione). Di terrorismo nessuno, fin qui, aveva mai parlato, né in Italia né in Ungheria, per ragioni giuridicamente e politicamente così ovvie che non vale la pena soffermarsi neppure un rigo di più.
Resta da dire di una ormai annosa valutazione politica, non nuova (specie in questa rubrichetta quotidiana) e non più sorprendente: le prese di posizione meno obiettive, meno opportune, più aggressive, più sbrigative, più brutali, arrivano quasi sempre dai leghisti. Che in Italia possa esserci un partito più fascista dei neofascisti, è un mistero di difficile spiegazione. Forse si tratta delle famose eccellenze italiane.
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