La politica acceca
DI MICHELE SERRA
Conosco da molti anni Gianmarco Mazzi, sottosegretario alla Cultura, perché ho lavorato con lui in diverse produzioni televisive, da Celentano a Sanremo. Io come semplice autore, lui come manager, co-autore, organizzatore, dirigente, uomo di fiducia degli artisti. Che fosse di destra (molto di destra: come si è di destra a Verona) non ha mai influito nel nostro rapporto di lavoro, amichevole e fattivo. Si lavorava insieme: punto e basta. Il suo curriculum è invidiabile, pieno di collaborazioni con artisti di sinistra (uno per tutti, Dario Fo). Né gli sono mancati gli incarichi pubblici: amministratore delegato dell’Arena di Verona, deputato, viceministro. Mazzi è la dimostrazione vivente (una delle tante) che essere di destra e lavorare con profitto in campo culturale non è mai stato in antitesi. Nessuno meglio di lui potrebbe dunque smentire la diceria meschina e bugiarda che si potesse avere successo solo perché si era di sinistra.
Fa specie che sia toccato proprio a lui, in Parlamento, giustificare la ridicola successione di Marino Sinibaldi, al Centro per il libro di Roma, con uno sconosciuto premiato solamente per la sua fedeltà alla linea.
Mazzi conosce la vita e conosce il lavoro culturale, sa benissimo che Sinibaldi deve uno alle sue idee politiche e deve novantanove alla sua conoscenza del mondo editoriale e della comunicazione culturale. Ma è costretto, per ragioni di scuderia, a sostenere in Parlamento che no, non è in atto un processo di occupazione militarizzata di ogni pertugio della cultura italiana; bensì un processo di “liberazione”.
Proprio lui, che in piena libertà, sotto la presunta dittatura culturale della sinistra, ha avuto ciò che meritava, oggi difende chi ottiene, per esclusive ragioni politiche, ciò che non ha meritato sul campo. È proprio vero che la politica acceca.
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