giovedì 4 gennaio 2024

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I soliti noti

di Marco Travaglio 

Le carte della Verdineide confermano purtroppo che l’Italia è la culla del giustizialismo. Infatti Verdini, condannato definitivamente a 12 anni di carcere per due bancarotte fraudolente, ha scontato ben 91 giorni in galera, poi tre anni fa ottenne i domiciliari nella villa di Pian dei Giullari perché a Rebibbia rischiava il Covid (gli altri 1200 detenuti invece no). Ma era sempre a Roma in permesso per visite odontoiatriche (certe zanne richiedono una manutenzione quotidiana e a Firenze notoriamente non si trova un dentista manco a pagarlo). E bivaccava al ristorante Pastation del figlio Tommaso per incontrare lui, il suo socio Pileri e gli imprenditori che mantenevano la sacra famiglia. Da settembre è indagato pure per aver violato i limiti dei domiciliari, ma le feroci toghe rosse non hanno ancora pensato di rispedirlo in galera. Resta da capire cosa debba fare di più un onesto delinquente per riuscire a finire dentro.

Ma il dato più inquietante è l’endemica mancanza di ricambio nelle classi tangentizie. Una gerontocrazia che non si rassegna alla pensione e monopolizza il mercato della mazzetta tarpando le ali a tanti giovani ansiosi di farsi valere. Non c’è solo l’eterno Verdini che, oltre alle bancarotte, vanta citazioni (anche a giudizio) nei casi P3, P4, terremoto dell’Aquila, Scuola dei marescialli (condanna e prescrizione), Consip (condanna in tribunale). C’è pure Lorenzo Cesa, arrestato la prima volta nel ’93 per tangenti su appalti Anas e reo confesso in un verbale dall’incipit memorabile: “Intendo svuotare il sacco”. Ora non è indagato, ma fa sempre cose e vede gente. È indagato invece Vito Bonsignore, già deputato andreottiano e imprenditore autostradale, pregiudicato per le mazzette del ’92 sull’ospedale di Asti, celebre anche perché 32 anni fa un manager Fs raccontò ai pm di avergli consegnato 100 milioni di lire in una scatola di cioccolatini davanti a Montecitorio, poi tornato in auge per la scalata Bnl (condannato e poi assolto) e per un conto di 5 milioni di euro in Liechtenstein. E in società con Pileri, socio dei Verdini, c’era Andrea Carminati, figlio di Er Cecato. Del resto già le retate Expo e Mose del 2014 avevano riportato ai disonori delle cronache i revenant del 1992: Greganti, Frigerio, Luigi Grillo, Baita, Maltauro… Non si butta mai via niente, l’usato sicuro tira sempre: chi non muore si risiede. È per via dell’esperienza: Verdini, fra un’otturazione e l’altra, dispensava ripetizioni su come mascherare le tangenti da consulenze. Come Totò-Dante Cruciani che, in vestaglia a righe sulla terrazza dei domiciliari, erudisce i Soliti ignotisu come si scassina una cassaforte. Poi arriva “la madama” e lui finge di fare il bucato: “Maresciallo, come vede si lavicchia”.

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