Un uomo di potere
DI MICHELE SERRA
Capita, a volte, che esista un rapporto di causa-effetto tra i propri comportamenti e le loro conseguenze, e questo rinfranca: significa che nel caos apparente, nella baraonda post-ideologicanella quale tutto si tiene e niente ha davvero peso, la traccia dei meriti e dei demeriti, delle cose giuste e delle cose sbagliate, è ancora leggibile. Almeno ogni tanto.
Quando Meloni scelse di farsi chiamare “il presidente”, pur essendo con ogni evidenza una presidente, non poteva certo immaginare che quella decisione, per lei leggera e sprezzante, segnale di indifferenza e forse di dileggio per le istanze femministe e per l’intera (gigantesca) discussione sul “genere”, le sarebbe stata giustamente rinfacciata nel pieno di una clamorosa e dolorosa vicenda, la morte violenta di Giulia Cecchettin.
Meritatamente, oggi, Meloni è tirata in ballo a proposito di quel suo stupido puntiglio, del tutto evitabile. Glielo abbiamo rinfacciato in tanti, oltre a Gruber, perché è impossibile non farlo.
Perché nel momento in cui il maschile e il femminile sono, necessariamente, ragione di dibattito per moltissimi italiani, diventa impossibile non sottolineare che la prima donna entrata a Palazzo Chigi scelse, per sé, una definizione al maschile (potere? maschio!). Ora, excusatio non petita, si affanna a postare foto di donne della sua famiglia (come se le donne non potessero e non volessero essere maschiliste: possono esserlo, e Meloni ne è la riprova).
La presidente del Consiglio ha torto. Ma siamo già certi che non lo ammetterà mai — proprio come fanno gli uomini di potere.
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