Il Natale di Vespa: inchini a Renzi, Meloni e Zelensky
DI DANIELA RANIERI
Le anticipazioni del libro di Bruno Vespa, il regalo di Natale alternativo al set taglia-unghie per la media borghesia semi-alfabetizzata, arrivano tutti gli anni puntuali con un battage sui media tale da far credere che l’ultima fatica contenga chissà quali segreti rivelati dai politici a Vespa (invece contiene comizietti incorniciati da tesi reazionarie), come se intervistati e autore non fossero volponi parigrado che tutto vogliono fuorché entrare in inimicizia. Quello di quest’anno, “un incalzante racconto in presa diretta”, si intitola Il rancore e la speranza. Ritratto di una nazione dal dopoguerra a Giorgia Meloni in un mondo macchiato di sangue, chiaramente per farci stare dentro tutto: Israele, l’Ucraina, Renzi, Berlusconi, Calenda (come a Porta a Porta; mancano solo i fanghi sciogligrasso e il plastico della casa di Cogne), ma soprattutto lei, la potente del momento, una Meloni ormai scontata (schietta, tenace, ma in fondo umana). Del resto l’inchino al potente è il caposaldo delle strenne di Vespa: nel 2017 il titolo era Soli al comando. Da Stalin a Renzi etc. (il claim: “Che differenza c’è tra Kennedy e Trump? E tra Stalin e Putin? Tra Renzi e De Gasperi?”; soprattutto sulle differenze tra gli ultimi due c’era bisogno di scrivere un libro, perché possono essere confusi); nel 2015 era Donne d’Italia. Da Cleopatra a Maria Elena Boschi, presentato al Tempio di Adriano proprio da Renzi, a riprova che di tutto si trattava fuorché di cultura.
L’abbiamo letto per voi. Meloni parla come se Vespa fosse in trance, tipo scrittura automatica, in lunghi semi-monologhi passivo-aggressivi molto laschi (a un certo punto dice che in Europa “dobbiamo essere leader non follower”, una fola copiata a Renzi, per dire). Meloni si sfoga: “A volte mi dicono ‘mi manchi’, e io rispondo ‘anch’io mi manco’. Questo è un ruolo che ti toglie tutto… Puoi farlo, certo, se sei molto vanitosa – e non è il mio caso – o se sei troppo responsabile… Appena risolto un problema, vedo solo che ne ho altri cento davanti”. L’autore si guarda bene dal chiederle quali problemi abbia risolto esattamente, e se tra questi annovera l’aver lasciato 169 mila famiglie a pane e acqua col taglio del Rdc. Così Meloni può rappresentare ai lettori il dramma di tutti i salvatori della Patria: “Non esiste programmazione. L’emergenza è la tua unica certezza”. Vespa, spietato: “Una tragedia, per una come lei’, commento. ‘Infatti. Io sono del segno del Capricorno. Molto schematica’”. Il senso del comico non la sfiora: “In India è scoppiata la Melodimania, i social hanno rilanciato i miei incontri con Modi montando i nostri scambi con le musiche di Bollywood”.
Non poteva mancare Zelensky, che Vespa tentò di portare a Sanremo (“Non gli fu concesso… E l’Italia fece una pessima figura”). Se pensate che l’incontro al Vittoriano coi giornalisti che lo “intervistavano” insieme a Vespa sia il non plus ultra della cortigianeria, leggetene il resoconto. Dall’Altare della Patria Vespa gli mostra Roma: “E, lì in fondo, la cupola di San Pietro, il Vaticano, dove lei oggi è stato ricevuto dal papa’. Ebbi la sensazione che Zelensky s’irrigidisse, e me l’aspettavo: ‘Con tutto il rispetto per Sua Santità’ mi disse ‘noi non abbiamo bisogno di mediatori, noi abbiamo bisogno di una pace giusta’”. Invece avevano bisogno di mediatori, visto che la controffensiva è fallita facendo guadagnare terreno alla Russia (ma per Vespa ha solo “rallentato”, “pochi metri ogni giorno”, quindi dovrebbe finire nel gennaio 4078 circa).
Delizioso il “dialogo” con Renzi, una lunga recriminazione piena degli slogan gassosi dell’ex potente, di cui Vespa già che c’è sponsorizza anche il prossimo “libro”. Ma con Meloni, ospite prediletta della sua masseria in Puglia, c’è piena sintonia: “Che cosa l’ha colpita dell’attacco di Hamas a Israele?”. E lei: “…quando si decapita un bambino e se ne diffondono le immagini, devi chiederti perché lo fanno”. Devi chiederti pure perché una presidente del Consiglio e il giornalista che la intervista rilanciano una notizia mai verificata su bambini decapitati, partita da una reporter israeliana che l’aveva sentita dire da alcuni soldati e di cui non esiste nessuna prova, come peraltro ha ammesso un portavoce dell’esercito israeliano.
Mille facezie sorrette da una tesi forte: “Nel nostro Paese la guerra civile non finì il 25 aprile 1945 ma nel giugno 1949, perché per tre anni dopo il silenzio delle armi ci fu una spietata caccia al fascista”. In realtà gli storici dicono che molti fascisti, gerarchi, squadristi e repubblichini (come Almirante, faro della Meloni) si salvarono dalle epurazioni e rientrarono agilmente nella pubblica amministrazione per poi essere inglobati dentro le istituzioni repubblicane in chiave anti-comunista.
Quanto allo stile, il libro di Vespa è scritto in basic italian, per essere capito dai più ignoranti tra gli italiani: i politici che lo hanno aiutato a scriverlo.
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