Forse Meloni si è stufata di armare Kiev: giù botte
DI DANIELA RANIERI
Come immaginavamo, e al contrario di quel che sosteneva Meloni e con lei tutto l’establishment mediatico che vive nel mondo delle fate, rimpinzare di armi un Paese non Ue e non Nato ci costa, se non altro per l’ovvia conseguenza che le nostre scorte diminuiscono e dobbiamo ricomprarle per noi. Meloni in Senato si adontò molto per l’accusa di stare a togliere il pane di bocca agli italiani per armare l’Ucraina (“propaganda puerile”), ribattendo che mandavamo armi “già in nostro possesso”, praticamente rottami in esubero che non sapevamo dove buttare, un po’ come i vaccini AstraZeneca inviati all’Africa perché ai bianchi provocavano trombosi; ebbene mentiva, come peraltro si è lasciato più volte sfuggire il ministro delle Armi Crosetto confermando l’allarme dei vertici militari: gli arsenali si svuotano, in un Paese in cui la manovra finanziaria è tutta in deficit e non ci sono i soldi per far funzionare il malridotto welfare.
Del resto, se fosse stata un’operazione a costo zero l’Europa non avrebbe avuto bisogno, a maggio, di distrarre i fondi del Pnrr per “sbloccare” l’acquisto di armi da parte dei Paesi membri a favore dell’Ucraina per un miliardo di euro e contestualmente “aiutare le industrie europee” che le fabbricano, per sgominare la concorrenza; né di imbastire la nota narrativa da videogame, sposata da tutti i giornali padronali, in cui gli americani sono i buoni che ci vengono a salvare dalle mire espansionistiche di Putin, ora nuovo Hitler, ora redivivo Stalin, alla bisogna. Quel provvedimento, denominato sbarazzinamente Asap (Act in Support of Ammunition Production), puntava “ad aumentare la capacità produttiva dell’Ue e ad affrontare l’attuale carenza di munizioni e missili nonché dei loro componenti”, così recitavano le veline; segno abbastanza eloquente che il primo principio della termodinamica funziona anche in guerra, e poiché nulla si crea e nulla si distrugge bisognava prendere i soldi da qualche parte per comprare armi e alimentare la guerra a oltranza (finora, l’Ue ha speso 21,16 miliardi in sostegno militare all’Ucraina). Il Commissario francese per il Mercato Interno, tale Thierry Breton, non potendo spacciare la spesa per le armi come investimento nella transizione verde o digitale, ha avuto l’idea di prendere i soldi dalla seconda “r” del Pnrr, cioè dalla voce del Recovery fund denominata “resilienza”, una fuffa ideologica molto di moda con la quale infatti ci hanno fregato. Ovviamente era tutto a fin di bene. Per Ursula von der Leyen sottrarre soldi al Pnrr per darli all’industria della guerra serviva a “mantenere la pace”; per Crosetto era l’unico modo per evitare che i carri armati russi arrivassero non solo a Kiev, ma anche “ai confini d’Europa”, del resto “Kiev viene considerata un baluardo dei principi democratici” (Rep).
Chi osava sollevare dubbi sui costi economici e morali dell’obbedienza alla Nato (o, peggio ancora, sull’innamoramento dei media per i nazisti del battaglione Azov) era putiniano e tifava per lo sterminio dei bambini ucraini. Per stare tranquilli Panebianco su Corriere lanciava l’idea di un governo Pd-FdI guidato da Enrico Letta e Giorgia Meloni, per “mandare all’opposizione il partito putiniano” nel segno di un atlantismo fideistico e canino, idea subito sposata dagli editorialisti di Repubblica, il giornale il cui proprietario ha interessi nel commercio di armi.
Oggi tutti sono costretti a dare notizia del “raffreddamento” del governo rispetto alla nuova lista dei desideri di Zelensky, che adesso vuole missili a lungo raggio, capaci di colpire, volendo, anche la Crimea. Crosetto, che fino a ieri era la mascotte pacioccona dei giornali nonostante i suoi conflitti di interesse militar-industriali, per aver detto che “le risorse non sono illimitate” è quasi un candidato della lista Santoro. Se la amata Giorgia (“brava”, “fuoriclasse”, “avercene”) esprime “la necessità di non sguarnire e non compromettere la nostra sicurezza” e segnala il rischio di “una stanchezza dell’opinione pubblica” per le conseguenze del conflitto, è perché bada “al consenso in vista delle Europee”, insomma è tornata a essere la solita populista. Folli su Rep, avvistando “l’ombra di Putin sul voto europeo”, le ricorda che “è chiamata a confermare una linea che finora è stata coerente, nonché obbligata dalla scelta atlantica”, mentre il quotidiano pubblica l’appello-minaccia di Zelensky (“Armateci o toccherà a voi”) e nell’intervista a un oligarca dissidente russo si rammarica per il fatto che “l’Italia balbetta sulle armi a Kiev”. Non si interrompe così un’emozione.
Ieri comunque apparivano tutti visibilmente sollevati che il faccia a faccia Meloni-Zelensky a Granada si sia concluso con la rassicurazione che il governo varerà l’ottavo decreto per l’invio di armi a Kiev (che sarà secretato: così funziona nelle democrazie). È come il film di Alberto Sordi: finché c’è guerra c’è speranza.
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