La parodia del male
DI MICHELE SERRA
L’aggravante giuridica “per avere agito con particolare cretineria” ovviamente non esiste. C’è quella “per futili motivi” che potrebbe essere in qualche modo apparentabile: spargere sangue per una lite di parcheggio, per esempio, appare smisuratamente grave rispetto al casus belli. Si capisce dunque, e si condivide, la ratio dell’aumento della pena.
La cretineria è un concetto più vago, meno quantificabile: eppure viene spontaneo, di fronte a certi casi di cronaca nera, pensare alla cretineria, se non come unico movente, come concausa dell’accaduto. La “faida dei trapper” a Milano, per dirne una, a leggere la relativa cronaca nera e giudiziaria, gronda cretineria almeno tanto quanto violenza. Si tratta di giovanotti garantiti di pranzo e cena, qualcuno addirittura con nomea di artista, e seguito social quanto ne basta per non sentirsi incompreso. Non dunque disperati di strada, o relitti sociali, ma ragazzi che hanno deciso, più per moda che per necessità, più per imitazione che per convinzione, di giocare un ruolo bellicoso (gang contro gang) e all’occorrenza accoltellarsi e rubarsi il cellulare (che per loro è come il Santo Graal).
A volte li arrestano, li processano e li condannano. E se per giunta la condanna cade — non per colpa loro — in un momento in cui il mondo gronda sangue e odio, la loro guerra di marciapiede appare inevitabilmente una recita inconsistente e meschina. Una parodia involontaria del male che rende ridicoli i suoi protagonisti. Echeggia, inevitabile, il “vai a lavorare!” che spesso è spiccio populismo. Ma a volte, saggezza popolare. Andate a lavorare, ragazzi.
Sarebbe anche una crescita artistica.
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