DI MICHELE SERRA
Sui tassisti romani devo avere scritto almeno sei o sette amache, lungo gli anni. Tutte uguali.
Dicevano, in sintesi: a Roma non ci sono abbastanza taxi. La dose di acume necessaria per scriverle era bassissima. Bastava cercare un taxi a Roma.
Questo vuol dire due cose: la prima è che mi ripeto, la seconda è che mi ripeto perché si ripetono, inesorabili, i problemi italiani. Ora siamo a un nuovo picco di proteste e di sdegno, anche “dei vip”, come dicono i giornali. Gente che aspetta per ore e poi rinuncia, e “non sono cose degne di una grande capitale”, e “basta con la dittatura dei tassisti”, e via sottolineando ciò che è già ampiamente sottolineato da parecchi anni. Ripeto: da parecchi anni.
Secondo me il problema è insolubile.
Perché i tassisti romani non sono un servizio pubblico, sono una corporazione, una delle tante in Italia. E scopo delle corporazioni è preservare se stesse. E tutto il resto: ciccia. Non per caso la parte politica che consacrò il corporativismo (la destra illiberale) ha sempre protetto, ricambiata, i tassisti romani, che ai tempi di Alemanno furono una pittoresca falange elettorale. E chi se ne frega se poi il servizio fa pena: anche il “me ne frego” discende da quei lombi politici, oggi tornati trionfalmente a Palazzo.
Dunque il consiglio è: se volete un taxi a Roma, non consideratelo il diritto di un cliente, consideratela un’avventura romantica. Come Walter Chiari e Anna Magnani in giro in Lambretta (Bellissima)o Gregory Peck e Audrey Hepburn in Vespa (Vacanze romane). Smettetela di considerare Roma “una capitale europea”. È solo un set cinematografico.
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