domenica 29 ottobre 2023

Incredibile vero?


Poltronificio Amato: il giro della Casta in ottanta incarichi
Il neoesperto di Intelligenza Artificiale
DI LORENZO GIARELLI
Non è chiaro se il principale cruccio di Giuliano Amato sia quello di potersi fregiare di illustri incarichi pubblici e privati o, più semplicemente, quello di riempire le giornate senza doversi accontentare dei soliti hobby tipici del popolino, tipo le bocce o il burraco. Fatto sta che il noto giurista – appena nominato a capo di una Commissione sull’Intelligenza artificiale – è da sempre un accumulatore seriale di poltrone e poltroncine: con fare compulsivo siede in consigli d’amministrazione, presiede comitati etici, partecipa a comitati scientifici. Non è neanche una questione di soldi, ché quelli non gli mancano (è in pensione da tempo, in più c’è il vitalizio) e gran parte di questi incarichi è completamente gratuita.
È proprio questione di collezionismo compulsivo, in un contesto in cui i due mandati da presidente del Consiglio (1992 e 2000), i quattro da ministro, le cinque legislature in Parlamento e il periodo alla guida della Corte costituzionale si fanno piccoli piccoli, minuscole tappe di una ricerca della felicità per raccontare la quale già rischiamo di non avere più sufficiente spazio a disposizione.
Bando alle premesse, quindi, per citare i migliori pezzi della suddetta collezione. Per esotismo e competenze spicca per esempio, nel 1991, la nomina a negoziatore internazionale del debito estero albanese, tanto voluta da Tirana e caldeggiata dall’allora Comunità europea. D’altra parte Amato è uomo di mondo e di sicura affidabilità, infatti l’Ue lo chiama pure nel 2001 e lo spedisce alla neonata Convenzione per il futuro dell’Europa – un organo che dovrebbe risolvere i nodi della mancata applicazione del Trattato di Nizza – e il suo lavoro convince talmente tanto che cinque anni più tardi Bruxelles lo promuove presidente del Comitato d’azione per la democrazia europea, incaricato dei lavori preparatori per la riscrittura della Costituzione europea (spoiler: per la Costituzione le cose non sono andate benissimo).
Quella per i tavoli di lavoro istituzionali è una grandissima passione di Amato. Già pluridecorato nel Psi, nel nuovo millennio trova fortuna nel Pd diventando parte prima del Comitato nazionale e poi del Coordinamento nazionale, consacrandosi infine durante il governo Monti, quando il bocconiano lo chiama come consigliere deputato a “fornire analisi e orientamenti” sul finanziamento pubblico ai partiti.
Ci sarebbe già abbastanza materiale affinché il nostro se ne vada a Genova e si imbarchi su un cargo battente bandiera liberiana, vivendo solo dei suoi racconti, eppure non è che l’inizio. Altra enorme smania per Amato sono gli anniversari. Nel 2010 il governo Berlusconi lo nomina presidente del Comitato dei garanti per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, forse conscio dell’esperienza maturata dal giurista quale presidente onorario della Fondazione Camillo Prampolini, che nel 2009 aveva festeggiato il 150esimo anniversario della nascita del medesimo Prampolini, già deputato del Regno d’Italia tra i fondatori del Partito socialista. Come non pensare ad Amato, quindi, quando nel giugno 2018 la Fondazione Francesco Saverio Nitti si dà l’obiettivo di creare un Comitato per celebrare il centenario dal governo Nitti. Amato accetta, nonostante un’agenda già piuttosto impegnata.
Nel 2012 è presidente della Sant’Anna di Pisa, di cui guida pure l’associazione degli ex allievi. Nel frattempo, trovandosi in città, diventa presidente dell’associazione degli Amici della Normale di Pisa. Negli stessi anni è co-presidente della Fondazione Memoriale Caduti per la Pace (con un co-presidente così, si dirà, chissà chi sarà il presidente: e infatti è Gianni Letta), per non dire del contributo nel board di Italianieuropei e nel Comitato scientifico della Fondazione Astrid e delle fatiche alla Fondazione Ildebrando Imberciadori. Restano qui sullo sfondo ruoli più noti, come quello di presidente dell’Antitrust e della Treccani, o quello a capo di una infelice Commissione per lo sviluppo di Roma Capitale voluta dall’allora sindaco Gianni Alemanno.
Proprio questa nomina di Alemanno, nel 2008, lo fa prendere in giro persino dai suoi amici. Come Eugenio Scalfari, il fondatore di Repubblica e a cui deve peraltro l’eterno nomignolo di Dottor Sottile. Come ha ricordato Francesco Merlo su Repubblica, Scalfari gli dedicò i versi di una “poesia del Regazzoni, che aveva l’hobby – attenzione – di scavare buchi nella sabbia: ‘Sento intorno sussurrarmi che ci sono altri mestieri / Bravi, a voi! scolpite marmi / combattete il beri-beri /coltivate ostriche a Chioggia / filugelli in Cadenabbia / fabbricate parapioggia / io fo buchi nella sabbia’”.
Proseguiamo. Per un periodo Amato fa pure da consulente per Deutsche Bank e siede nell’international advisory board di Unicredit, dimostrando di non disdegnare il settore bancario. Tocca qui accelerare per menzionare la presidenza onoraria del Circolo Tennis Orbetello e nel Comitato etico della Fondazione Umberto Veronesi, da alternare col lavoro al Centro Studi Americani di Roma, il ruolo da consigliere in Luiss e la recente chiamata come garante del Codice etico-sportivo del Coni e poi nel Comitato sui Lep e l’autonomia voluto da Roberto Calderoli.
Il giro del mondo in 80 incarichi arriva così all’ultima curva, ma merita un colpo di coda. Nel 1997, quando Amato diventa docente dell’Istituto universitario europeo di Firenze, l’Ansa ha il senso dell’umorismo di chiedere all’Università se “l’assegnazione della cattedra sia compatibile con altre funzioni”, visto che c’è un Paese che ben conosce l’horror vacui di Amato per le giornate lunghe e piovose, di quelle che non passano mai. La risposta del portavoce resta a imperitura memoria: “Normalmente i docenti non hanno altri incarichi. È un impegno molto assorbente, devono stare qui tutti i giorni”. Anonimo profeta.
Nella sua lunga e infinita parabola c’è però la Grande Poltrona mancante. Quella del presidente della Repubblica. Eppure, il Dottor Sottile, nato politicamente craxiano, ci è andato vicinissimo. Era il 2015, all’epoca del letale patto renzusconiano. Il candidato per succedere al Napolitano bis, con l’avallo dello stesso Re Giorgio, era proprio lui. Ma quando Matteo Renzi capì che la minoranza bersaniana non l’avrebbe mai votato, facendo esplodere il Pd, ruppe il patto con Silvio Berlusconi e andò su Sergio Mattarella. Una volta sconfitto ammise: “La corsa per il Quirinale ha comunque cancellato le brutture ingiuste su di me che tanto hanno danneggiato la mia immagine: divoratore di pensioni e cumulatore di incarichi retribuiti”.

Incredibile, eh? 

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