Privacy retrattile
di Marco Travaglio
Ogni tanto la politica è scossa da una gran fregola di privacy. Accade di solito quando qualche politico di destra finisce nei casini per vicende private inconfessabili che, riguardando un politico, private non sono quasi mai. Men che meno quando quel politico usa le sue vicende private (quelle confessabili) per acchiappare voti. Era accaduto con B., sta riaccadendo con la Meloni per via dei bollori dell’ormai ex fidanzato. Ma il problema non è la premier, a parte la sua ossessione per i nemici esterni che le impediscono di vedere quelli di casa. Il problema sono i cultori della privacy retrattile, intermittente, a seconda di chi ci va di mezzo. Libero è il giornale della “patata bollente” Virginia Raggi, a cui avevano inventato (non solo Libero: pure Repubblica) un amante inesistente, Salvatore Romeo, quello delle polizze, oltre a diversi altri, trasformandola nella nuova Messalina. Ora Libero di Sechi, che starnutisce appena la Meloni prende il raffreddore, piagnucola: “Il concetto di privacy non va cestinato”. E dedica a un’intervista alla Roccella lo strepitoso titolo: “È la famiglia il vero bersaglio della sinistra” (dove non si capisce bene chi svolga il ruolo della sinistra nella vicenda: Giambruno? Mediaset? Il Gabibbo?). Filippo Barbano, avvocato d’ufficio delle cause perse, definisce i fuorionda di Striscia “una ferita alla democrazia”. E Alessandro Campi, sul Messaggero, lacrima per la “politica che guarda nel buco della serratura”, come se uno studio televisivo fosse un’alcova. Anche il Giornale di Sallusti e Feltri è affranto perché “nessuno ha pensato ai diritti di Giambruno” (neppure Giambruno) e perché Report dà notizie sull’eredità di B. (“fango infinito a urne aperte”, ma a bara abbondantemente chiusa).
Non vorremmo sbagliarci, ma i campioni destroidi della privacy sono gli stessi che invocavano (giustamente, trattandosi di personaggi pubblici) il diritto di cronaca per le foto di Silvio Sircana, portavoce di Prodi, che dava un’occhiata a un viado e finì sulla prima del Giornale; per il video girato da quattro carabinieri ricattatori su Piero Marrazzo, presidente Pd del Lazio, a un festino con trans e coca e gentilmente offerto in visione privata a B. (che poi telefonò a Marrazzo per fargli sapere che sapeva tutto ed era molto dolente) e poi finito su Libero; e per l’informativa di questura pubblicata dal Giornale che dipingeva Dino Boffo, il direttore di Avvenire reo di criticare il puttanaio di B., come “noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni”, informativa che però era un falso. È pur vero che Sircana, Marrazzo e Boffo non erano minimamente paragonabili a B. e a Giambruno: si erano scordati di iscriversi alla destra.
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