Centodieci forse è troppo
DI MICHELE SERRA
Il problema del “centodieci per cento” è soprattutto il suo nome, così spropositatamente generoso dopo lunghi anni nei quali la lesina di Stato pareva unaregola inamovibile, quasi un dogma religioso.
Quasi non ce ne ricordiamo, ma per colpa del Covid, o grazie a lui, siamo passati da un clima politico nel quale anche le briciole parevano un lusso proibitivo a una fase nella quale lo Stato, di colpo, ha lasciato intendere che ce n’era per tutti. È stato forse per eccesso di slancio che si è deciso quel numero, centodieci, così incautamente superiore a qualunque aspettativa, producendo lo stesso effetto di quando, nei mercati rionali, viene esposto il cartello “Siamo impazziti!
Vendiamo sottocosto!”.
Oggi qualcuno, di quel provvedimento, sottolinea i benefici, qualcuno i costi.
Difficile trovare chi tiene a mente entrambi, a conferma che l’economia non è una scienza, è una branca della politica, una coperta che ognuno tira dalla sua parte. Quello che forse si potrebbe dire, senza paura di sbagliare troppo, è che anche il buon vecchio “centodieci” non si sottrae all’idea che si proceda sempre per tentativi, per trovate estemporanee, magari con tanta buona volontà ma senza un’idea strutturale di economia pubblica.
Più soldi per la sanità pubblica, per la scuola pubblica e per la ricerca: lì si capirebbe senza equivoci qual è l’intenzione di fondo, quale l’idea che lo Stato ha di se stesso. Più soldi per rifare la facciata, coibentare il tetto e cambiare la caldaia magari è utile, nonché green quanto basta: ma si presta a discussioni meno limpide, e molto più incerte.
Nessun commento:
Posta un commento