domenica 17 settembre 2023

L'Amaca

 

La rivoluzione dei capelli
DI MICHELE SERRA
Arrestare un padre per impedirgli di andare sulla tomba della figlia nell’anniversario della sua morte, è un gesto così vile che perfino un regime forsennato come quello iraniano avrebbe potuto avere qualche esitazione: è una sporca figura, e mezzo mondo può conoscerla e giudicarla. Invece lo hanno fatto, e a un anno dal martirio di Mahsa Amini, ammazzata di botte dalla Polizia Morale (istituzione abominevole a partire dal nome), la teocrazia degli ayatollah continua a trattare il suo popolo come un gregge da tenere sottomesso oppure da indirizzare al mattatoio, sparando sulla folla, facendo sparire gli attivisti democratici, uccidendo i propri figli.
Va ricordato — perché, anche se lo sappiamo da tempo, suona incredibile ogni volta che lo si ripete — che in quel paese si può morire, se si è donne, perché si mostrano i capelli.
Così accadde alla ragazza curda Mahsa, che di quel gesto così semplice, così normale, seppe fare un gesto politico e contagioso.
Capelli come bandiere.
Quando mai vinceranno, le ragazze iraniane, le loro famiglie, i loro amici, i milioni di cittadini di quel paese esasperati dalla tenebrosa stupidità della teocrazia e dei suoi servi armati, lo avranno fatto nel nome di princìpi talmente basilari, talmente ovvi, che la loro rivoluzione passerà alla storia non solo per essere stata la più giusta del mondo, ma anche la più naturale. Lungo le strade di quelle città, per molti anni, sarà impossibile incontrare una donna con i capelli sciolti senza ricordarsi che c’è stata una rivoluzione, e ha vinto. Senza bisogno di manifesti e di coccarde, senza baionette, senza armi, ogni corpo di donna a capo scoperto sarà un corpo uscito di galera.

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