Quanto è brava Meloni, se obbedisce ai padroni
DI DANIELA RANIERI
“Fuoriclasse”, “brava”, “avercene”. Alla vittoria di Giorgia Meloni tutto l’establishment cosiddetto liberale si spese in salamelecchi, trovando nella figlioccia del fascista e razzista Almirante ed ex ministra di Berlusconi un’alleata nella guerra contro il “populismo” dei 5 Stelle. Le Monde, il giornale parigino della borghesia illuminata, scriveva già nel 2020 che “la popolare Giorgia” era “dotata di un tasso di simpatia record”, e dopo le elezioni la definì la “più coerente”, la sola che “ancora non ha potuto deludere” (grazie, era l’unica a non aver fatto parte del governo Draghi, magnificato dagli stessi giornali ogni dì prima dei pasti).
Dopo i 100 giorni di governo, Enrico Letta ci ha tenuto a dire al New York Times: “Meloni è migliore di quanto ci aspettassimo” sulle cose economiche e finanziarie, nel senso che ha capito di dover “seguire le regole” della Ue. Poche ore dopo, Bonaccini faceva il lavoro che quelli di destra non vogliono più fare: “Meloni non è una fascista, è una persona certamente capace”. L’abbrivio partì dal meeting di Cl dell’anno scorso, quando – officiando la messa del potere prima delle elezioni che sarebbero state certamente vinte da FdI – Draghi appose la corona su Giorgia tipo Leone III sulla testa di Carlo Magno: “Sono convinto che il prossimo governo, di qualunque colore sarà, riuscirà a superare le difficoltà”. Gattopardismo sopraffino, una legittimazione degli “sciacalli”, ormai normalizzati, da parte dei “leoni”, a dispetto dell’aporia per la quale Giorgia era l’unica a non aver avuto le visioni di una fantomatica “agenda Draghi”. Non importa il “colore”, se un governo è di destra o di sinistra, quelli sono svaghi per il popolino; importa a chi vanno i soldi. L’altro giorno, a un incontro dal nome alquanto sciocco (“L’Europa s’è destra?”) Mario Monti ha incastonato il diamante nella corona: “Meloni è visibilmente brava, inattesamente brava”, perché ha “perfettamente capito che per chiunque governi l’Italia, se si va troppo fuori dalle linee tracciate dall’Europa sul bilancio il governo cade in due settimane” e “su certi temi non si può scherzare”.
Giorgia dunque è promossa dalla gente che diceva di esecrare – i manovratori della finanza sovranazionale – quale precisa esecutrice delle politiche di cui l’ambiente da cui vengono Monti e Draghi è il mandante: conti pubblici sotto briglia, neoliberismo hardcore e mercatismo dogmatico, ciò che implica disuguaglianze di reddito e crescente ingiustizia sociale. Del resto Confindustria le prescrisse di darci dentro contro i poveri, i parassiti del “Sussidistan”, e di far sì che i soldi del Pnrr che non si riusciva a spendere andassero alle imprese. Meloni ha fatto tutto come ordinato, con in più un regalone a evasori, spalloni e manigoldi del contante. Monti ha fatto pura accademia dicendo che è “inesattamente brava”; sì, ci sarebbe quel problemino che è un po’ fascista, lei e il carrozzone di clown, ciarlatani e freaks fascistoni che si porta dietro, con la fissa dei “patrioti” e della “Nazione” da onorare (giammai pagando le tasse, che per lei sono “pizzo di Stato”, cioè lo Stato è un’organizzazione criminale che perpetra il racket contro i cittadini). Ma Giorgia è bravissima per un altro motivo caro alle élite: è diligentemente atlantista, una vestale Nato, bellicista a oltranza in Ucraina e fautrice del riarmo contundente col suo ministrone ex lobbista di armi (togliendo frattanto il Rdc ai morti di fame). L’amen l’ha pronunciato il Financial Times: “Per il rischio fascismo bisogna guardare a Mosca, non a Roma”. Da noi è al governo gente che onora il criminale Graziani di un mausoleo, sostiene che sia in corso una sostituzione etnica con contaminazione del sangue italico e venera busti di Mussolini, ma è innocuo folclore. Il fascista è Putin, lo stesso a cui i nostri governi, il Renzi in testa, vendevano armi aggirando l’embargo. L’importante era che i soldi del Pnrr non finissero in mano a Conte, che li avrebbe spesi per cose turpi – Sanità, lavoro, transizione ecologica e persino salario minimo, che lui inserì nel Pnrr e Draghi rimosse – e non per le armi. Infatti, con una mossa da magliari, la Ue è riuscita a dirottare i miliardi del Pnrr sull’acquisto e la produzione di armi anche da mandare all’Ucraina attingendo al tesoretto sotto la voce “resilienza”, la fuffa del secolo. Il tutto per il giubilo dei giornali padronali, alcuni dei quali incidentalmente coinvolti nell’industria delle armi, e dei cani sciolti liberali di giornaletti sovvenzionati dallo Stato, ai quali se non va un posticino come uscieri alla Nato ci chiediamo allora uno cosa deve fare. Tutti tifano per la guerra fino all’ultimo ucraino contro il fascista Putin, non importa se a portarla avanti è una che ha assunto il fascismo col latte di crescita. Avrebbero applaudito pure Eva Braun, se avesse fatto la “brava” sui conti e avesse obbedito al grido di guerra degli Stati Uniti, i pacieri del mondo che portano ovunque guerra e distruzione.
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