Cavalcare la tigre
DI MICHELE SERRA
La paura. Se la sinistra (termine che uso per convenzione) riuscisse a capire che la vera benzina della destra è la paura del domani, magari riuscirebbe a riscoprire la propria identità e la propria funzione: non avere paura del futuro, e anzi cercare di indovinarlo e anticiparlo, il solo modo, poi, per governarlo senza subirlo passivamente: cavalcare la tigre.
Paura dei migranti, paura delle relazioni sessuali che mutano, paura della globalizzazione (che rimescola e contraddice i concetti rassicuranti di Nazione e di Tradizione), paura che “italiano” diventi concetto di concittadinanza e non di “razza”, paura dell’ibridazione, della contaminazione, della novità, del cambiamento. In fondo è tutto abbastanza ben detto in quel ruvido bigino del pensiero reazionario del quale si è tanto parlato negli ultimi giorni, scritto da un parà che ha fatto carriera.
Io mi sono sentito (umanamente, non ideologicamente) di sinistra quando, forse trent’anni fa, nella cassetta delle lettere, a Milano, trovai un volantino in arabo: e ne fui incuriosito ben più che disturbato. Mi sento di destra ogni volta che penso al futuro come una degenerazione del presente, una violazione del mio quieto vivere, delle mie abitudini, di quello che già so. Per dire che non è solo ideologico, è soprattutto psicologico il confine tra le due modalità di guardare il mondo: e ciascuno di noi, nel suo piccolo, è un riassunto della grande dialettica paura/coraggio, abitudine/novità, destra/sinistra.
La sinistra, questa vecchia sinistra confusa e logora, dovrebbe imparare un mantra: domani sarà meglio, o comunque meno peggio.
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