martedì 20 giugno 2023

Titanic e dintorni

 

La tragedia che ha ispirato un secolo di complottismi
DI GABRIELE ROMAGNOLI
Non esistono maledizioni, ma soltanto uomini che le vanno a cercare. Facendolo, spesso le trovano, sommando disgrazie. Un anatema è una profezia che si autoavvera. Chi scende a 3800 metri per vedere un relitto dovrebbe mettere in conto la possibilità di viaggiare su un futuro esemplare della stessa specie. Non lo fa? Nemmeno i passeggeri del Titanic, allora, o il comandante prossimo alla pensione, il direttore dell’orchestra che continuò a suonare, nemmeno Thomas Millar, il tecnico che la costruì e avrebbe involontariamente chiuso il cerchio della storia.
Ci sono eventi di cui non si accetta la logica. Un’imbarcazione “inaffondabile”, realizzata nel miglior cantiere del mondo (Belfast), finanziata da uno degli uomini più ricchi della Terra (John Pierpont Morgan) fa naufragio dopo 4 giorni e mezzo di viaggio, provocando 1518 vittime e, anziché ammettere la catena di errori, in partenza e durante la rotta, si dà la caccia ai presagi e alle streghe, si reinterpretano segni e intenzioni. Si esige una versione alternativa, più umana e al contempo soprannaturale, più maligna e più sciocca. La scomparsa del Titanic è stata la madre di tutte le teorie del complotto. Un filo nero collega il 15 aprile 1912, la nave mai arrivata a New York, e l’11 settembre 2001, le Torri abbattute nella stessa città. O forse anche questo è negli occhi di chi rilegge.
In comune ci sono la volontà di potenza, la hybris del colosso e l’inconfessabile desiderio di punizione. Nella revisione leggendaria a questo tendono coincidenze e macchinazioni. Nel 1898 un autore di nome Morgan Robertson aveva pubblicato il romanzo Il naufragio del Titan, storia di un transatlantico affondato da un iceberg. Scavando nella letteratura una trama che precede un avvenimento si trova sempre. Il numero della nave (390904) riflesso(se scritto però in un certo modo) può sembrare No Pope (come Coca Cola al contrario sarebbe No Maometto). La manovalanza nord-irlandese era tutta protestante e si dice abbia pronunciato una frase anti- cattolica per ogni chiodo conficcato. Che razza di Dio parziale può essere invocato, come fosse un derby allo stadio. È stata pure scomodata una mummia del malaugurio, che un giornalista e spiritista avrebbe portato a bordo. In realtà si limitò a parlarne a cena, mentre quella riposava al British Museum. La nave non ebbe il varo, non fu “battezzata”, l’oceano è il suo limbo? E ancora: era la gemella affondata da Morgan per l’assicurazione, era un attentato contro lo stesso Morgan dei gesuiti. Decine di storie si sovrapposero come per ogni tragedia: chi si salva per caso e chi trova un passaggio all’ultimo e muore. Due tennisti (Karl Behr e Dick Williams) si sarebbero re-incontrati anni dopo a quelli che oggi chiamiamo Us Open e si sostiene che Behr perse per il senso di colpa: aveva raggiunto subito la scialuppa mentre Williams aveva lottato con l’ipotermia e rischiato l’amputazione delle gambe.
Quel che non si ricorda è che gli sbagli resero più sicura la navigazione successiva. Salvarono vite, forse più di quante se ne persero in quella traversata. Fu aumentato il numero dei membri dell’equipaggio. Divennero obbligatori i binocoli a bordo (un ufficiale trasferito portò via i suoi, altri non ce n’erano o erano in un cassetto chiuso a chiave) e la consegna dei messaggi al comandante (non gli fu dato quello che avvertiva degli iceberg).
Una serie di mancanze è meno affascinante di una congiura di oscure forze. Quelle, semmai, spingono a visitare i luoghi dove i drammi si sono consumati. Li si è visti al cinema o in tv, ma vuoi mettere, il relitto nell’oblò. Il turismo nero ha destinazioni che insegnano (Pompei o gli ex lager) e altre che aggiungono nuovi pericoli, come la Zona di Chernobyl. L’omaggio può confondersi con la morbosità. Per capire la vicenda del Titanic, meglio il Museo a Belfast. Ero lì nel febbraio scorso. Una discendente di Thomas Millar, il tecnico costruttore, me ne raccontò la storia.
Avendo visto migliaia di persone andare in America, decise di scoprire che cosa c’era di bello là, poi farsi eventualmente raggiungere dalla famiglia. Al figlio Robert regalò una moneta da due penny, dicendogli di conservarla per spenderla insieme a New York. Il bambino, 5 anni, la strinse nel pugno fino a imprimersi un marchio sul palmo della mano. Qualche giorno dopo, mentre giocava con una barchetta sul fiume Lagan, vennero a dirgli che il più grande transatlantico mai costruito era affondato e suo padre era scomparso. La moneta passò di Millar in Millar. La pronipote di Thomas la portò con sé nel viaggio del centenario. Arrivata sul punto in cui giace il relitto resistette alla tentazione di buttarla e a quella di scendere in profondità. La fece arrivare a New York. Un viaggio lungo un secolo.

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