giovedì 22 giugno 2023

Per i posteri

 


Lula: “Con la fame nel mondo spendiamo per le armi?”

LUIZ INÁCIO LULA DA SILVA - Il presidente brasiliano in visita a Roma tesse una trama che va dall’India alla Cina per il negoziato in Ucraina: “È un conflitto insulso”

di Domenico De Masi 

Con Lula non passa anno che non ci si riveda e non si trascorra insieme qualche ora di affettuosa amicizia. Anche quando lui era in carcere a Curitiba sono risuscito ad avere 60 minuti di colloquio nella sua cella. Questa volta, appena lui è arrivato a Roma, ci siamo regalati un paio d’ore di tranquillo scambio d’idee.

La guerra in Ucraina e quella interna

Di cosa si può parlare con un personaggio come Lula, reduce dal recente G7 di Hiroshima dove si è fiondato anche l’ubiquo Zelensky? L’Ucraina è lontana dal Brasile, ma l’eco della guerra e i suoi possibili esiti nucleari sono vivi e allarmanti a tutte le latitudini. Da mesi Lula sta tessendo una vasta trama che va dall’India alla Cina e che ha come idea centrale della pace quella stessa auspicata da papa Francesco. Con noi, in questo colloquio romano, c’è anche il comune amico Celso Amorim, consigliere del Presidente ed ex-ministro degli Esteri, appena tornato da viaggi esplorativi a Kiev e a Mosca.

Ma Lula ha una guerra interna cui dare la precedenza assoluta: quella contro la povertà e l’analfabetismo di 30 milioni di brasiliani che già nei primi suoi due mandati rappresentarono il suo assillo prioritario. Il Brasile, insieme alla Cina, fu l’unico Paese in cui le disuguaglianze diminuirono. 40 milioni di brasiliani salirono nella scala sociale passando da sottoproletari a proletari, da proletari a piccola borghesia, da piccola borghesia a media borghesia. “Come è possibile fare una guerra insulsa e spendere miliardi per armi mortali mentre un miliardo di esseri umani soffrono la fame nel mondo?”, si chiede Lula.

Uno sguardo al paese immenso

Tom Jobim, uno tra i più noti e amati autori di bossanova, dice che “il Brasile non è un Paese per principianti”. Dunque, cerchiamo di attrezzarci con qualche dato statistico.

Grande 28 volte l’Italia. I suoi 211 milioni di abitanti appartengono a più di 40 etnie passando dai neri di origine africana ai gialli di origine cinese ai biondi di origine tedesca. Gli oriundi italiani sono 30 milioni, sei dei quali risiedono a San Paolo formando così la città italiana più grande del mondo. 1.400 aziende italiane operano in Brasile e 20 aziende brasiliane operano in Italia.

Nella graduatoria mondiale dei Paesi in base al loro Pil, l’Italia è all’8° posto e il Brasile è al 9°. Il divario cresce notevolmente se si comparano i Pil pro-capite: in media un brasiliano dispone di 9 dollari, un italiano di 33 dollari. La struttura del Pil dei due Paesi è molto simile: il 74,5% in Brasile e il 75% in Italia proviene dai servizi. Notevole, invece, è la differenza per quanto riguarda il numero di addetti all’agricoltura: 9% in Brasile, 4% in Italia. Ma il settore agricolo consente al Brasile di essere il primo al mondo per produzione di caffè; il secondo per produzione di soia e di zucchero; il terzo per produzione di carne e di frutta.

Nella graduatoria mondiale della produzione manifatturiera l’Italia è al 7° posto mentre il Brasile è al 14°. Se invece si considera la produzione di energia, il Brasile è al 10° posto nel mondo mentre l’Italia è oltre il trentesimo. Se poi si considera la produzione di energia pulita, il Brasile è di gran lunga al primo posto: l’87% dell’elettricità proviene da energia rinnovabile, contro il 28% della media mondiale.

Questo è il rapido identikit della Repubblica presidenziale del Brasile, di cui Lula da Silva è presidente per la terza volta. Nato nel 1945 nello Stato di Pernanbuco da genitori poverissimi e analfabeti, ha fatto le scuole in modo irregolare ma ciò non gli ha impedito di essere il presidente brasiliano che ha creato il maggior numero di nuove università. Con sua madre e i suoi sette fratelli è vissuto per anni nel retrobottega di un bar. Ha fatto il lustrascarpe, il venditore ambulante, l’operaio metalmeccanico, il sindacalista.

Nel 1980 è stato uno dei fondatori del Partido dos Trabalhadores (Pt). Due volte presidente della Repubblica (2003-2011) è stato poi il principale oppositore di Bolsonaro e del suo governo di estrema destra. Incarcerato per 580 giorni in base a prove false, è stato poi scagionato e rieletto presidente il 2 ottobre 2022.

Alla ricerca di un ordine multipolare

Il presidente è ben consapevole che il Brasile non è neoliberista come gli Stati Uniti e non è autoritario come la Cina, esercita una leadership sicura in tutto il continente neo-latino e può guidare le sorti del Mercosur (il mercato comune sudamericano) di cui è il partner più forte. Dunque il Brasile “ha un ruolo importante da svolgere per la necessaria e urgente transizione da un mondo unipolare (Usa) e poi bipolare (Usa-Cina) a un mondo multipolare in cui ogni paese abbia la libera e reale possibilità di svilupparsi e allearsi in base ai suoi valori e alle sue scelte”.

Dopo la caduta del Muro di Berlino, gli Stati Uniti hanno nutrito il sogno di “americanizzare” il pianeta. La globalizzazione perseguita dal neoliberismo americano non si accontenta – come fece la Gran Bretagna – di controllare le rotte navali e imporre le merci inglesi. Al suo dominio commerciale l’America vuole aggiungere quello finanziario e quello culturale; all’esportazione dei dollari vuole aggiungere l’esportazione dell’americanità fatta di cinema, musica, abiti, usi e costumi, tutti Made in Usa. Come disse Illich: “Ormai avere sete significa avere sete di Coca-Cola”.

Il Brasile è forse il Paese occidentale dove questa operazione onnivora degli Stati Uniti resta tuttora incompiuta: nonostante gli sforzi d’ogni genere, l’America non è riuscita a conquistare l’anima brasiliana.

L’Europa rinunciataria e l’amore per l’Italia

A differenza di quella francese o canadese o tedesca o italiana, la forma mentis dei brasiliani è ancora prevalentemente brasiliana. Hollywood non ha spodestato gli studi Projac della Globo, il jazz non ha silenziato la bossanova, i romanzi di De Lillo non hanno spiazzato quelli di Jorge Amado. I valori dominanti in Brasile sono tuttora l’allegria, la sensualità, l’accoglienza, la solidarietà, la multiculturalità. In più di 500 anni dopo la scoperta, il Brasile ha fatto una sola guerra (contro il Paraguay tra il 1864 e il 1870) mentre l’America ha portato incessantemente il suo esercito e le sue armi nel mondo intero.

Sotto questo aspetto l’atteggiamento dell’Europa risulta meno comprensibile e forse giustificabile. Decine di Stati, ognuno con una sua lingua, una sua letteratura, una sua arte e una sua musica, tutti complementari tra loro per storia e per risorse, non riescono a nutrire un sentimento orgoglioso della propria ricchezza culturale, a darsi una guida e un programma comuni capaci di valorizzare il più ricco mercato del mondo e il più straordinario vivaio di intelligenze.

Oltre a una compresenza di etnie, il Brasile gode, nello stesso perimetro nazionale, di una straordinaria simultaneità di epoche storiche per cui vi convivono, fianco a fianco, la società pre-rurale dell’Amazzonia, quella rurale del Ceara, quella industriale di Minas Gerais e quella postindustriale di Rio de Janeiro. Ciò consente un interscambio di esperienze che smussa gli angoli e conferisce al popolo brasiliano quella morbidezza che lo rende unico in uno scacchiere mondiale attraversato da prepotenze insensate.

Con Lula – democratico coerente e infaticabile combattente per le uguaglianze e per la libertà – è difficile interrompere il dialogo che spazia dal Brasile, con i suoi problemi e le sue preziosità, all’Italia con altrettanti problemi e più numerose occasioni perdute, al mondo intero sempre più distante dalla globalizzazione di stampo Usa e sempre più alla ricerca di un nuovo equilibrio multipolare. Di certo c’è che Brasile e Italia hanno un’anima in feconda sintonia che va alimentata e che trova in Lula un garante prezioso.

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