Come è fragile il popolo
DI MICHELE SERRA
La più precisa e rivelatrice delle commemorazioni l’ha fatta, senza saperlo, un conduttore Rai di seconda fila, in quella fascia mattutina che (come quella pomeridiana eserale) è stata il tripudio della santificazione di Berlusconi (il “servizio pubblico”, di qui in poi, scordatevelo).
Ha raccontato di quella volta che B, in uno studio televisivo, gli andò incontro, e pur senza conoscerlo gli disse: “continui così, farà strada”. Tanto gli basta, al conduttore, per dedurne la grandezza e la generosità di Silvio. Non lo sfiora il sospetto che la stessa frase Silvio l’aveva rivolta a chiunque, dal barman all’usciere al posteggiatore, si imbattesse in lui.
Perché quella era la strategia: far sentire importante chiunque per dare importanza (e potere) a se stesso.
I venditori, gli imbonitori, sanno quanto conta la fragilità delle persone. La loro insicurezza, la loro vanità, il loro bisogno di gratificazione. Una comunità di persone forti, in grado di darsi autonomamente dignità e identità, non avrebbe avuto bisogno di Berlusconi — perché non è una comunità in vendita.
Ma le persone forti sono una minoranza — averlo dimenticato è la sola vera grande colpa della sinistra — e i deboli, se qualcuno li illude e li blandisce, sono sempre a disposizione. Per questo il populismo vince, per questo Berlusconi ha vinto e per questo assistiamo al drammatico spettacolo di questi giorni, il lutto nazionale, il Parlamento chiuso come un lavasecco quando muore la mamma del gestore. Il solo vero merito storico di Berlusconi è stato farci memoria — senza volerlo — di essere un popolo fragile, insicuro, asservibile. Ne ha saputo approfittare.
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