lunedì 15 maggio 2023

Lollo visto da Tomaso

 

L’etnia italiana secondo Lollo, il fan del maresciallo Graziani
IL MINISTRO E IL MACELLAIO D’ETIOPIA - Come per ogni testo, per comprendere quella frase bisogna conoscerne il conteso e soprattutto l’autore, i cui precedenti parlano chiaro
DI TOMASO MONTANARI
Come è noto, il ministro Francesco Lollobrigida ha detto: “Credo che sia evidente a tutti che non esiste una razza italiana, è un falso problema quello di immaginare un concetto di questa natura. Esiste però una cultura, un’etnia italiana, che la Treccani definisce raggruppamento linguistico-culturale, che in questo convegno si tende a tutelare”. Una torma di lacché mediatici si è lanciata a giurare che questa volta non si tratterebbe di razzismo, o xenofobia. Basta, però, un briciolo di buona fede per dimostrare l’esatto contrario: quelle parole sono un goffo tentativo di travestire da legittima opinione il cardine stesso di una ideologia criminale, perché profondamente razzista e xenofoba, tipica delle estreme destre neofasciste occidentali di oggi. Per questo è invece importante e urgente che siano viste per quello che sono, senza infingimenti o edulcorazioni.
Come per ogni testo, per comprendere quella frase bisogna conoscerne l’autore, e il contesto. Da assessore alla Regione Lazio, Francesco Lollobrigida finanziò e inaugurò un mausoleo monumentale per Rodolfo Graziani, dichiarando che “per noi della Valle Aniene l’affetto per il generale Graziani è stato sempre un punto di riferimento”. Giova ricordare che Graziani, viceré d’Etiopia e dopo la guerra presidente onorario del Movimento Sociale Italiano, si segnalò per una spietatezza eccessiva anche per gli standard del colonialismo fascista: per l’uso dei gas, per il bombardamento deliberato di un ospedale da campo, per il suo sistematico seminare “panico e orrore” (così la Treccani, citata da Lollobrigida…) fu considerato criminale di guerra, e fu condannato a 19 anni di carcere per collaborazionismo con l’occupante nazista. Inoltre, qualche giorno fa, lo stesso ministro aveva agitato lo spauracchio della sostituzione etnica, teoria passata direttamente dal Mein Kampf di Hitler al repertorio classico delle destre neofasciste attuali: una formula talmente presente nei discorsi di Meloni e Salvini da rendere penosamente incredibile la protesta di ignoranza con la quale il ministro si è poi voluto difendere.
Le radici fasciste di Lollobrigida appaiono dunque platealmente rivendicate: e questo porta a pensare che, in bocca a lui, la parola “etnia” (che possiede un largo spettro semantico) vada interpretata con sicurezza come mero sinonimo di razza nel senso in cui la usava direttamente Benito Mussolini, per esempio in questa affermazione: “L’Italia è una razza, una storia, un orgoglio”.
Non meno probante appare il contesto in cui la frase è pronunciata: quella degli Stati generali della denatalità. Ciò che rende chiaro che Lollobrigida non crede affatto all’accezione di “etnia” che propone: “Esiste però una cultura, un’etnia italiana, che la Treccani definisce raggruppamento linguistico-culturale, che in questo convegno si tende a tutelare”. Perché chi davvero declina il significato di etnia sul piano culturale e linguistico non è affatto preoccupato dalla denatalità: che ha invece a che fare con la prosecuzione di una italianità attraverso lo sperma e il sangue. Solo chi pensa che italiani si nasca, crede che l’italianità si tuteli tutelando la continuità biologica della stirpe: esattamente quel “razzismo del sangue” che Giorgio Almirante predicava dalle colonne de La difesa della razza. Chi, al contrario, pensa che quella italiana sia una nazione per via di cultura e non di sangue, sa che (dai tempi di Enea, e anche prima) italiani si diventa, imparando (e modificando) la cultura e la lingua italiane. Per questo, il governo Meloni decide di non insegnare più la lingua italiana nei Centri di accoglienza per i migranti: perché l’obiettivo è non mescolarsi con gli “altri”, soprattutto se neri.
Se sapesse chi sono costoro, sarei curioso di chiedere a Lollobrigida se Giambologna o Gaspare Vanvitelli si debbano considerare artisti di etnia italiana o no: e la risposta giusta è che lo sono fino al midollo per cultura, ma non certo per sangue. Quanti dei bambini affogati davanti a Cutro avrebbero potuto diventare grandi artisti italiani? Era il 1942 quando Ugo Ojetti, in un terribile scritto inneggiante a Hitler e l’arte (pubblicato in un volume dall’eloquente titolo In Italia l’arte ha da essere italiana?), plaudiva all’arte etnicamente pura voluta dai fascismi. Proprio per reagire a questa eclissi di storia, dopo la Liberazione la Costituzione della Repubblica definisce la nazione (nell’articolo 9, unico dei principi fondamentali in cui la si nomini) per via non di sangue, etnia, fede o lingua, ma solo per via di cultura, ricerca, paesaggio e patrimonio storico e artistico: cioè per via di inclusione, evoluzione continua, contraddizione, pluralità. La storia italiana, con la sua feconda e vitale capacità di mutare, tornava a prendere il posto della immobile “razza italiana”, esistente solo nel fanatismo fascista. Quello che oggi si nasconde, ma neanche troppo, nell’“etnia” esaltata dal ministro affezionato al generale macellaio degli etiopi.

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