Caro Genny, oltre a dar lustro all’Italiano riprendiamoci pure Nizza e la Savoia
DI DANIELA RANIERI
“Usare parole straniere è snobismo radical chic”, ha detto il ministro della Cultura Sangiuliano usando tre parole straniere. Non ci caschiamo. Ormai il giochino è chiaro: uno tra i più rimarchevoli esponenti del governo (collezionisti di busti del Duce, nostalgici delle punizioni scolastiche, cacciatori al cinghiale urbano, riccone in stile balneare, etc.) dice qualcosa di larvatamente fascista, di un fascismo da cabaret; quelli di sinistra – che quelli di destra, insipienti dell’origine dell’espressione, chiamano radical chic – si incazzano, producendosi in paginate di analisi e piagnistei; loro gongolano, avendo ottenuto il doppio risultato di: 1) giustificare il loro stipendio; 2) distrarre l’opinione pubblica dalle vere pecche del governo Meloni.
Messasi di buzzo buono a combattere l’egemonia culturale della sinistra (nella tv pubblica, dove fino a ieri Sangiuliano dirigeva un Tg, nella scuola, dove prima dell’arrivo di Valditara non vigeva il Merito ma il 6 politico, etc.), la battagliera intellighenzia di destra ha dichiarato guerra alla spocchiosa élite di chi non vota FdI: residenti delle Ztl, sì-vax, cosmopoliti (globalizzati, meticci, venduti, traditori della Patria); tutta gente che loro, seguitando la propaganda monomaniaca dei giornali di destra, chiamano radical chic (nota a margine e tuttavia rilevante: la sottoscritta è autrice di AristoDem. Discorso sui nuovi radical chic: figuriamoci se a noi i privilegiati di finta sinistra stanno simpatici). Guerra pure ai poliglotti, che impoveriscono la lingua di Dante, come già Mussolini lamentava; così invece del cachemire indosseranno il casimiro, e stasera brinderanno a sciampagna tra ricchi premi e cotiglioni, tiè.
Il tutto mentre Meloni, più draghista di Draghi e più confindustriale di Confindustria, vara una Finanziaria ligia all’austerità, riduce la spesa pubblica, taglia la Sanità, spende miliardi per le armi obbedendo a Nato-Ue, affama i poveracci, ricatta i disoccupati costringendoli ad accettare qualunque lavoro (la gens nova del “momento Polanyi”, la rivolta delle masse contro le élite, si guarda bene dal fare una legge sul salario minimo). Encomio perciò agli arditi intellettuali revanscisti: è dura fare epica dannunziana stando in un governo neoliberista, in cui Salvini cita la Thatcher e Meloni Ronald Reagan. (Se a Sangiuliano riesce di mettere l’italiano lingua ufficiale in Costituzione, com’era nello Statuto albertino, già che ci siamo riprendiamoci pure Nizza e la Savoia).
“Usare parole straniere è snobismo radical chic”, ha detto il ministro della Cultura Sangiuliano usando tre parole straniere. Non ci caschiamo. Ormai il giochino è chiaro: uno tra i più rimarchevoli esponenti del governo (collezionisti di busti del Duce, nostalgici delle punizioni scolastiche, cacciatori al cinghiale urbano, riccone in stile balneare, etc.) dice qualcosa di larvatamente fascista, di un fascismo da cabaret; quelli di sinistra – che quelli di destra, insipienti dell’origine dell’espressione, chiamano radical chic – si incazzano, producendosi in paginate di analisi e piagnistei; loro gongolano, avendo ottenuto il doppio risultato di: 1) giustificare il loro stipendio; 2) distrarre l’opinione pubblica dalle vere pecche del governo Meloni.
Messasi di buzzo buono a combattere l’egemonia culturale della sinistra (nella tv pubblica, dove fino a ieri Sangiuliano dirigeva un Tg, nella scuola, dove prima dell’arrivo di Valditara non vigeva il Merito ma il 6 politico, etc.), la battagliera intellighenzia di destra ha dichiarato guerra alla spocchiosa élite di chi non vota FdI: residenti delle Ztl, sì-vax, cosmopoliti (globalizzati, meticci, venduti, traditori della Patria); tutta gente che loro, seguitando la propaganda monomaniaca dei giornali di destra, chiamano radical chic (nota a margine e tuttavia rilevante: la sottoscritta è autrice di AristoDem. Discorso sui nuovi radical chic: figuriamoci se a noi i privilegiati di finta sinistra stanno simpatici). Guerra pure ai poliglotti, che impoveriscono la lingua di Dante, come già Mussolini lamentava; così invece del cachemire indosseranno il casimiro, e stasera brinderanno a sciampagna tra ricchi premi e cotiglioni, tiè.
Il tutto mentre Meloni, più draghista di Draghi e più confindustriale di Confindustria, vara una Finanziaria ligia all’austerità, riduce la spesa pubblica, taglia la Sanità, spende miliardi per le armi obbedendo a Nato-Ue, affama i poveracci, ricatta i disoccupati costringendoli ad accettare qualunque lavoro (la gens nova del “momento Polanyi”, la rivolta delle masse contro le élite, si guarda bene dal fare una legge sul salario minimo). Encomio perciò agli arditi intellettuali revanscisti: è dura fare epica dannunziana stando in un governo neoliberista, in cui Salvini cita la Thatcher e Meloni Ronald Reagan. (Se a Sangiuliano riesce di mettere l’italiano lingua ufficiale in Costituzione, com’era nello Statuto albertino, già che ci siamo riprendiamoci pure Nizza e la Savoia).
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