Il gruppo Wagner di ottant’anni fa
DI MICHELE SERRA
Non tutto il male viene per nuocere. Per merito della t-shirt di Enrico Montesano abbiamo potuto ripassare un po’ di storia della Decima Mas e del suo capo, Junio Valerio Borghese.
Una specie di prova del nove della sostanziale impunità concessa ai fascisti dopo la fine della guerra. Non solo prefetti, funzionari pubblici, semplici impiegati del regime rimasero al loro posto. Anche fanatici miliziani, responsabili di crimini di guerra, poterono tornare a casa indisturbati.
Junio Valerio Borghese, capo di quel “corpo speciale” molto attivo soprattutto negli anni di Salò (una specie di Gruppo Wagner di quel sanguinoso biennio), responsabile di rastrellamenti, torture, esecuzioni sommarie al fianco dei tedeschi, venne arrestato dai partigiani ma fu messo sotto protezione dai servizi americani, preveggenti in chiave di lotta al “pericolo rosso”. Condannato a dodici anni ne ebbe condonati nove e poté tornare alla sua attività di “principe nero”, iscrivendosi al Msi.
Nel ’53 reclutò volontari per una “marcia su Trieste”, ancora retta dagli alleati.
Giudicando troppo debole il Msi, fondò il Fronte Nazionale e nel 1970 progettò il golpe che ancora porta il suo nome, rientrato in extremis su probabile suggerimento della Cia. Rifugiato nella Spagna franchista, sodale del capo dell’eversione nera (quella del tritolo e delle stragi) Stefano Delle Chiaie, Borghese fu l’incarnazione della continuità imperterrita sulla scena politica italiana del fascismo mussoliniano ben oltre la sua caduta.
Quando si dice che l’Italia non ha avuto la sua Norimberga, e non ha mai fatto i conti con il fascismo, si dice esattamente questo. E si capiscono, del presente, parecchie cose, magliette comprese.
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