mercoledì 12 ottobre 2022

L'Amaca

 

Il tatuaggio che spiega
DI MICHELE SERRA
La Lega abbonda di fascisti: è un dato di cronaca, non un giudizio. Dico la Lega del Salvini, non quella di Bossi, che era becera e aggressiva, ma fascista no.
Dunque non si capisce perché il segretario leghista di Bologna, Di Martino, si senta in obbligo di cancellare un tatuaggio nazista: si chiama ipocrisia.
Il Salvini, difficile dire se per calcolo o per incidente, è stato negli ultimi anni una vera e propria calamita, per i fascisti delle ultime generazioni. Si rileggano i fluviali file della Bestia, commento per commento, si rileggano i fatti di cronaca (era leghista, mica altro, quel Traini che a Macerata sparava ai “negri” per poi avvolgersi nel tricolore; è leghista l’assessore alla sicurezza che a Voghera ha freddato un immigrato fuori di testa); si ripensi al Salvini che benedice chi spara ai ladri mentre è ministro degli Interni, dunque teoricamente difensore della legge italiana, che non è quella del taglione; si ripensi alla Lega come partito del tiro a segno e delle armi da fuoco, come da iconografia social di lungo corso, sindaci con la pistola, da Gentilini in poi, e grande cordialità con i club del grilletto di tutta Italia.
Fossi fascista, per me il Salvini sarebbe un idolo, altro che la Meloni, già pronta per il tailleur governativo. E dunque, signor segretario leghista di Bologna, non si vergogni del suo tatuaggio. Non lo declassi a errore di gioventù. Lo rivendichi. Lei occupa, coerentemente, l’estrema destra dell’arco politico. Non ceda al perbenismo governista. È utile a tutti noi sapere, nella geografia politica italiana, quali sono le fisionomie, quali gli attori.

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