venerdì 19 agosto 2022

In ricordo

 

Il carissimo nemico
di Marco Travaglio
L’on. avv. Niccolò Ghedini era un bello stronzo. L’ho sempre pensato quand’era vivo e il fatto che ora sia morto – e così presto, a 62 anni- non mi pare un buon motivo per dire il contrario. Anche perché ho l’impressione che a quella nomea tenesse parecchio, con la fatica che aveva fatto per guadagnarsela: nelle aule di tribunale, in quelle parlamentari e negli studi televisivi, dove abbiamo incrociato le lame non so quante volte sui processi al suo cliente più illustre, che lui chiamava “il Presidente” con l’aria deferente di chi gli dà del lei. Anzi, del Lei. Solo chi vuol passare alla storia come uno stronzo può coniare l’immortale definizione di “utilizzatore finale” per scrollare di dosso al “Presidente” se non la fama, almeno l’accusa penale di puttaniere di minorenni. O difendere il lodo Alfano alla Consulta perché “la legge è uguale per tutti, ma non necessariamente la sua applicazione”. O sventolare il Codice in tv per sostenere, con la cantilena nasale e l’espressione inespressiva dietro le lenti a fondo di bottiglia, l’opposto di ciò che dice il testo: tipo che prescrizione e assoluzione pari sono, o che non c’è differenza fra l’essere assolti per non aver commesso il fatto e per averlo commesso e poi depenalizzato. O scioperare contro la politica giudiziaria del governo per far saltare le udienze del capo del governo, la cui politica giudiziaria la decideva lui.
Poi un giorno di 10 anni fa presi l’aereo Venezia-Roma e me lo ritrovai accanto. Parlammo in libertà, come due carissimi nemici che non s’illudono di convincersi. Mi raccontò della sua famiglia- bene che vantava un paio di dogi. Gli spiegai che non ero comunista, come lui e il Presidente pensavano. “Avvocato, lei è ricco sfondato, è un principe del foro, ha tutte le soddisfazioni dalla vita. Perché continua a sputtanarsi dietro le balle del suo capo, a fabbricare leggi ad personam, a mettere la faccia su tesi, norme e conflitti d’interessi, incluso il suo, indifendibili? Non c’è più gusto a vincere i processi nelle aule di tribunale che in quelle del Parlamento?”. Lui mi sorprese: “Lo faccio perché sono affezionato al Presidente, a cui devo molto. Ma sono così bravo che l’avrei fatto assolvere anche senza quelle leggi, che ho sempre sconsigliato, perché adoro lo scontro in aula, ma di giustizia”. Mi spiegò che le leggi ad personam le avevano volute Previti e altri cattivi consiglieri. “Dubito che avrebbe vinto anche i processi per falso in bilancio senza depenalizzare il reato”. Lui fu onesto: “Beh, quelli, in effetti…”. Alla fine, ai saluti, non mi chiese di tenere riservata la chiacchierata, ma non ce ne fu bisogno. Non so perché non ne scrissi nulla. Forse perché, dopo averlo conosciuto un po’ meglio, temevo che fosse talmente stronzo da iniziare a diventarmi simpatico.

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