Ode alla nostra Draghicrazia. Il Sistema tra lutto e speranza
I CANTORI DEL PREMIER - L’ex Monti avvisa: “se rinuncia perde la faccia e in parte l’ha già persa” (lo spread è stabile)
DI DANIELA RANIERI
Accantonati per un attimo i soldatacci virili ed eroici del battaglione Azov (una sbandata breve ma intensa), la grande stampa torna all’antico e più solido amore: Draghi; la cui moglie Serenella si stendeva nel sarcofago della cripta di San Nicola a Bari perché gli ospiti potessero osservare le reliquie (Repubblica, febbraio 2021), al cui passaggio nella sala busti sorridevano le statue di De Nicola e De Gasperi (ibidem), la cui formazione gesuitica, rafforzata dagli anni da banchiere centrale, era garanzia di “stabilità, super-intelligenza, integrità e leadership” (Foglio, La Stampa, Corriere), nonché di una “atermicità” (Foglio) etica e sexy (s’è visto, con le misure anti anzi pro-Covid: riaprire tutto, rischio ragionato, etc.); Draghi al cospetto delle cui dimissioni, respinte da Mattarella, il sistema si è compattato in un angoscioso cordoglio, sebbene mitigato dalla tensione speranzosa dell’ultimo tentativo.
Si sprecano gli appelli affinché ci ripensi: Renzi organizza una petizione perché continui a governare senza i 5Stelle (gli piace solo la caduta dei governi che fa cadere lui), come fosse un affare di quartiere o di condominio, come spostare una rotatoria o aggiustare l’ascensore. C’è da capirlo: se non cambia la legge elettorale, e non si fissa una soglia di sbarramento al 2%, il suo non-partito sparirà alle elezioni.
Grande risalto ha sui giornali l’appello dei sindaci (1000 su 8000), coordinati da quello di Firenze Nardella, autori della lettera “Draghi rimani al tuo posto” (così, senza virgola dopo il vocativo): struggenti le parole di Beppe Sala: “Noi sindaci siamo a contatto con i cittadini, sentiamo i loro umori, tra il deluso e il disorientato”: l’anamorfosi che deriva dal parlare solo con gente con Isee sopra i 70 mila euro.
Mentre Calenda, nella totale insipienza degli ossimori, twitta: “Domani sono state organizzate più manifestazioni spontanee a sostegno di #Draghi” (l’idea l’ha lanciata uno studente candidato con Calenda e iscritto a Italia Viva: poi dice che i giovani non hanno ideali), Adnkronos schiera l’artiglieria pesante: un’intervista a Iryna Vereshchuk, vicepremier dell’Ucraina e “volto della Resistenza” (segno che era indisponibile Cyborg, il soldato con l’occhio di vetro e il braccio di titanio del battaglione Azov, destinatario dei salamelecchi di Bernard-Henri Lévy su Repubblica), la quale spiega la sua allucinante tesi: se Draghi resta in carica l’Ucraina vincerà la guerra, se Draghi cade è probabile che Putin invada l’Europa: “Il futuro dipenderà da come l’Italia, gli italiani, il governo italiano riusciranno a risolvere questo terribile conflitto, questa guerra fratricida che per ora, e sottolineo per ora, si consuma sul territorio ucraino. Con leader come Draghi al governo, noi vinceremo questa terribile guerra che si consuma non in Ucraina, ma nel continente europeo”.
Mentre industriali del caffè, medici, economisti e giornalisti fanno i piagnoni al capezzale di colui che “non ci meritiamo”, Mario Monti sul Corriere avvisa Draghi che se rinuncia perde la faccia e in parte l’ha già persa (lo spread non è aumentato), di fatto spingendolo a rimanere mediante un ragionamento per contrarium che ne umilia la vanità, allappa il cervello una lettera strappalacrime di uno scrittore come Scurati, che si rivolge all’“esimio Presidente”, “uomo di straordinario successo”, che “ha bruciato le tappe di una carriera formidabile”, “ha retto le sorti di una nazione e di un continente” tenendole “in pugno con il piglio del dominatore”, e ora non deve andarsene, “spinto alle dimissioni da un accanito torneo di aspirazioni miserabili, da sudicie congiure di palazzo, da calcoli meschini, irresponsabili e spregiudicati di uomini che, presi singolarmente, non valgono un’unghia della sua mano sinistra” (gli scrittori un tempo rovesciavano il trono e gli altari, oggi pregano in ginocchio un banchiere di dominarci tutti).
Non si capisce come mai gli aedi draghisti non propongano a questo fenomeno, visto ch’è tanto amato, di presentarsi alle elezioni e di vincerle a mani basse; forse è più intrigante averlo come Monarca assoluto in questo limbo finto-democratico in cui vige una Draghicrazia di fatto e l’Italia è una estensione del Ducato di Città della Pieve. Beninteso: se Meloni prenderà un sacco di voti la colpa sarà di Conte, che si è ribellato alle politiche e ai metodi antidemocratici di Draghi, non di Draghi stesso, che con le sue politiche anti-popolari ha contribuito a far crescere l’unica opposizione al blob mangiatutto, e adesso, quando la legislatura sta per finire e teme gli sarà presentato il conto non dalle élite ma dagli elettori, se la dà a gambe, in ciò dimostrandosi sempre più uguale al ritratto che Marx e Engels fanno della borghesia avida e indifferente nel Manifesto: un apprendista stregone che non sa più controllare le potenze sotterranee da lui stesso evocate.
Nessun commento:
Posta un commento