Agendami tutto
di Marco Travaglio
Prima l’Area Draghi era il padiglione horror del luna park. Ora è una vasta zona acquitrinosa e putrescente che va dal Pd a Brunetta, da Renzi alla Gelmini, da Calenda a Giorgetti, e forse financo a Di Maio. B. non c’è, ma solo perché comprensibilmente vi si sottrae, tra lo stupore di vecchi e nuovi amici che “non lo riconoscono più” (frequentava la crème dei Mangano, Dell’Utri, Gelli, Craxi, Carboni, Previti, Cosentino, Cuffaro, poi s’è guastato). Il comune denominatore della compagnia della buona morte, oltre all’allergia per il popolo (populista per definizione), è l’Agenda Draghi, che non è la versione de luxe della Nazareno Gabrielli in pelle umana, ma il discorso ducesco del premier per il suicidio assistito in Senato. Il Pd l’ha preso al volo come “il nostro programma”, non avendone mai avuto uno, per la gioia dei militanti delle feste dell’Unità e delle case del popolo, che ora stracciano i poster di Berlinguer e ci appendono il banchiere. Incendiato il Campo Largo, la nuova ideona è l’“alto mare aperto”: beneaugurante citazione dell’Ulisse dantesco che varca le colonne d’Ercole e affoga con tutti i suoi compagni.
La soluzione più semplice sarebbe il partito di Draghi, ma Draghi non si candida. Peccato: se tutti gli italiani lo vogliono, prenderebbe il 100%. Tipo Ceausescu e Castro, ma senza brogli. Così si ripiega sull’Area Draghi e l’Agenda Draghi, cioè sugli abusi della credulità popolare: la gente crede di votare per lui e si ritrova Renzi, Brunetta e Di Maio. Come quando prenoti le vacanze in una suite da favola vista mare per le foto sul sito e ti ritrovi in una topaia vista fogna. Franceschini, dopo 17 mesi di frustate in Cdm, scopre il sadomasochismo e ne vuole ancora: “Alleanza larga nel nome di Draghi. Lui? Ne resterà fuori”. Tipo il tressette col morto. O le sedute spiritiche: ogni sera gli adepti della Banda Larga si troveranno attorno al tavolino a tre gambe, uniranno i mignoli e invocheranno lo spirito guida con la formula magica “Whatever it takes”. Ancora incerta la presenza di Di Maio, che in un mese è riuscito a rendersi meno affidabile di Renzi, ma sgomita per esserci: “L’agenda Draghi non deve cadere nella polvere, noi la prendiamo in carico” (parla al plurale maiestatico, come il divino Otelma). Strano, perché Draghi in Senato ha raso al suolo le due cose buone fatte da Di Maio in 36 anni di vita: Reddito di cittadinanza (“se non funziona è una cosa cattiva”) e dl Dignità (smantellato da Draghi, che alla richiesta di Conte di ripristinarlo non ha manco risposto). Eppure Di Maio adora l’Agenda Draghi che cancella l’Agenda Di Maio. Delle due l’una: o, nelle nuove vesti di pochette vivente di Draghi, è andato in estasi e non ha sentito nulla; o ha sentito tutto e ora si sta sul cazzo da solo.
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