“Guarda qua!” dissi enfaticamente, raccogliendo da terra il frutto dello scempio. “Hai castrato la canappia di Rocky!” Butterfat batté le palpebre sbigottito e, continuando a massaggiarsi l’arto colpevole, si allontanò barcollando nelle tenebre, invocando un antidolorifico. Intanto il cuore mi batteva a mille mentre reggevo in mano il naso di bronzo.
Non saprò mai che cosa mi spinse ad agire in quel modo, anche se un tasso alcolico superiore a quello di plasma e piastrine può essere una spiegazione. Mi guardai a destra e a sinistra e, assicuratomi che non ci fossero testimoni, intascai l’iconica appendice e fuggii come un infedele che avesse rubato l’occhio di un idolo. Immagino che il mio piano fosse raggiungere la mia macchina, prendere in qualche modo la tangenziale e tornare a Manhattan. Lì avrei messo all’asta il cimelio da Sotheby’s, collezionisti folli si sarebbero scatenati nelle offerte e alla fine avrei incassato una somma a sette cifre. Mi ricordo che trovai la mia Honda, mi ci infilai dentro dopo una quarantina di minuti di sforzi, accesi il motore e premetti l’acceleratore causando una serie di sobbalzi che culminarono in una mezza rovesciata all’indietro, in seguito alla quale il veicolo rimase capovolto con le ruote che giravano a vuoto. Ricordo vagamente un animato confronto con due rappresentati delle forze dell’ordine, che portò a un contatto ravvicinato tra il loro manganello e la custodia del mio QI.
Alla stazione svuotai le mie tasche a beneficio del sergente di turno, sommergendolo con pelucchi, vecchie chiavi, mentine e svariate foto ingiallite di Lili St. Cyr; ma lui puntò a colpo sicuro la monumentale canappia bronzea, attualmente classificata come “reperto A”. “Ah, quello,” balbettai con il tono acuto di un ottavino. “È il mio portafortuna. Un’antica usanza etrusca.” Cercando di mantenere una parvenza di contegno, abbozzai una risatina simile al verso che fa un gatto quando viene infilato in un tritadocumenti. Ormai i due tutori della legge, frustrati dal mio aplomb, si davano il cambio a recitare la parte del poliziotto cattivo e di quello ancora più cattivo. Tenni duro finché non sentii parlare di “sottomarino”: al che sbracai miseramente e cominciai a strillare come un isterico alla prospettiva di venire annegato.
Le mie confessioni furono più profonde di quelle di sant’Agostino e molto più compromettenti: il mio piano di arricchirmi col grugno di Sly eruppe irrefrenabile in un profluvio di lucciconi. Per fortuna, in Pennsylvania il possesso illegale di nasi non viene punito con la pena capitale; ma con quello che mi è costata la riparazione dello sfregio inferto a un bene della collettività, la prossima volta sarà meglio che vada a soffiare il naso alle galline.
(Zero Gravity - Woody Allen)
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