sabato 4 giugno 2022

Quel Visco…


Visco predica bene, ma in Bankitalia il costo del lavoro fa +44% in 20 anni

di Nicola Borzi 

L’inflazione corre ed erode le buste paga: nonostante un lieve aumento delle retribuzioni contrattuali (+0,8%), l’Istat prevede che quest’anno il potere di acquisto delle famiglie calerà almeno del 5%. D’altronde a maggio, secondo le stime preliminari, il carovita ha segnato +6,9% su base annua, livello che non si registrava da marzo 1986. Ma il problema non è di breve termine: secondo l’Ocse, l’Italia è l’unico Paese sviluppato nel quale durante gli ultimi 30 anni i salari sono calati del 3%, mentre in Germania sono aumentati del 34%, in Francia 31% e in Spagna del 6%. Eppure secondo il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, occorre “contrastare vane rincorse tra prezzi e salari” attraverso “un aumento una tantum delle retribuzioni”.
Visco predica bene, ma i bilanci di Banca d’Italia raccontano una storia differente. Tra il 2001 e il 2021 i lavoratori di Palazzo Koch sono calati da 8.560 a 6.629, con un taglio del 22,6%, mentre il costo del lavoro medio per dipendente dell’istituto di Via Nazionale è passato da 135 mila 600 a 194 mila 736 euro, con un aumento del 43,6%. Aumenti nominali, ribatterà qualche economista dell’ufficio studi di Banca d’Italia. Certo, ma dal 2001 al 2021 l’indice dei prezzi al consumo Istat ha segnato +33,1%: dunque in termini reali (al netto cioé dell’inflazione) l’aumento del costo del personale di Palazzo Koch è stato pari al 10,5%. La sola voce “stipendi ed emolumenti per il personale in servizio” di Banca d’Italia dal 2017 al 2021 ha segnato un salto da 95 mila 863 a 98 mila 731 euro pro capite, con un aumento (nominale) del 3%, inferiore solo dello 0,2% all’inflazione del quinquennio. Merito dei sindacati di via Nazionale, sempre battaglieri quando bisogna spuntare lucrosi rinnovi contrattuali, alla faccia delle Considerazioni finali dei governatori di turno.

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