Il rilancio del Mezzogiorno
DI MICHELE SERRA
Sentire come titolo d’apertura di un tigì Rai «il presidente del Consiglio si impegna per il rilancio del Mezzogiorno» è stata un’emozione molto forte. D’improvviso mi sono rivisto bambino, con i miei genitorie mio fratello, davanti a un telegiornale in bianco e nero, poco prima che Carosello segnasse il confine tra il giorno e la notte.
Fanfani, Pella, Rumor, Andreotti e Moro, Spadolini e De Mita mi sono ricomparsi davanti mentre pronunciano quella stessa formula augurale, «rilancio del Mezzogiorno», che si ripete immutabile di generazione in generazione.
Con la Moka, la Nutella, il Sidol, il Vim in polvere e pochi altri prodotti immutabili, il rilancio del Mezzogiorno ha il merito, non piccolo, di illuderci che il tempo, per quanto spietato, non riesca a incidere più di tanto sulle nostre sante abitudini. Noi invecchiamo, è vero, ma il mondo conserva una sua ostinazione, una sua gloriosa permanenza che dà luogo a forme rituali cariche di consolazione. Il capo del governo che rilancia il Mezzogiorno è, in Italia, ciò che a Londra è il cambio della guardia: una tradizione amatissima che resiste alla superficialità delle mode.
Continueremo a rilanciare il Mezzogiorno per secoli. Magari sarà un premier tatuato, o gender fluid,o oriundo di Marte a recarsi con un’auto blu a Molfetta piuttosto che a Riace per ribadire l’impegno del governo per il Mezzogiorno.
L’importante è che il rito non si perda.
Nel frattempo il Mezzogiorno, in una maniera o nell’altra, si sarà rilanciato da solo: ma non bisognerà dirlo a nessuno, per non correre il rischio che il governo italiano del 2094 sospenda la prevista cerimonia di rilancio del Mezzogiorno.
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