Compresi gli ombrelloni
DI MICHELE SERRA
L’annosa lite sulle concessioni balneari è, prima di tutto, annosa: la si ritrova immutata nel succedersi delle estati, come il calcio balilla, come certi gelati con il bastoncino che bastano, solo a vederli, a rimandarci all’infanzia, stessa spiaggia stesso mare.
Si legge — senza troppe sorprese — di una stratificazione tipicamente italiana di equivoci irrisolti, di conti sospesi, di decisioni rimandate, di “tiriamo a campare”. Che hanno da un lato permesso di fare finta di niente per un paio di generazioni, dall’altro (proprio perché si è fatto finta di niente) di lasciare incancrenire la situazione, fino a farla diventare una specie di caso sociale quando sarebbe, di suo, poco più di una questione amministrativa.
Negli anni qualcuno (i gestori) ha speso dei soldi per fare migliorie, affezionandosi assai al posto. Negli anni qualcuno (lo Stato) ha continuato a dare in concessione un bene pubblico per pochi spiccioli. Negli anni è nata una delle tantissime consorterie italiane, che si fa forte del fatto di avere gestito e in qualche caso valorizzato ciò che lo Stato non era in grado di valorizzare, e ora si adombra perché il governo ha deciso di aggiornare l’affitto, che è rimasto lo stesso di quando i Marcellos Ferial vincevano il Disco per l’Estate con Sei diventata nera.
Risultato: hanno tutti ragione, che è anche un modo elegante per dire che hanno tutti torto, tutti qualcosa da rimproverare, qualche debito da sanare.
Chissà perché facciamo così, chissà perché siamo così. Con una specie di indolenza di facciata che, sotto sotto, è la garanzia di un lasciar fare immutabile, immortale.
Non è il fare, è il lasciar fare che ha formato lo Stivale così com’è, compresi gli ombrelloni.
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