mercoledì 6 aprile 2022

Robecchi

 

“Effetti collaterali”. L’irredimibile merda della guerra infetta ogni cosa
di Alessandro Robecchi
“Non c’è niente di intelligente da dire a proposito di un massacro”, scriveva Kurt Vonnegut (Mattatoio n. 5). Aveva ragione, niente pare doloroso e prevedibile come il fiume di parole che insegue in questi giorni i poveri fantasmi di Bucha, civili innocenti ammazzati con le mani legate, o torturati, o fucilati e lasciati lì, un po’ per monito e un po’ per mettere un timbro sull’impunità di chi fa a guerra. E già ticchetta l’osceno ping pong dei paragoni, un chiedersi attonito se Bucha valga My Lai, o l’Iraq, o Srebrenica, o Aleppo, perché una barbarie, poi, pare un po’ meno barbara se la metti vicino ad altre barbarie, se in qualche modo l’archivi; come se storicizzare fosse un po’ cauterizzare le ferite, e – alla fine – farsene una ragione.
La guerra è una faccenda che appartiene alla Storia, e si cristallizza lì, senza insegnare a nessuno il modo di non fare altre guerre, peraltro. Ma la guerra è anche una faccenda terribilmente personale, se finisci morto o torturato in una strada del tuo Paese. Tra questi due estremi – tra il cinismo del Grande Disegno Geopolitico Globale e il terrore gelato dell’attesa di un colpo in testa, le mani legate dietro la schiena – lì, nel mezzo, sta tutta l’irredimibile merda della guerra. Meccanismo poderoso, che muove strategie e imperi, e interessi, e miliardi di tonnellate di gas, o petrolio, o armi, o soldi, dollari, euro, rubli – e dove poi rimane stritolato un innocente da qualche parte, magari faceva il panettiere, o la moglie, o il figlio, o gente che scappava.
Nell’orribile caleidoscopio di immagini che scorre in questi giorni, ci sono stati mostrati anche i presunti colpevoli, chi lo sa se poi sono loro, ma insomma, dei ragazzotti siberiani dell’unità 51460, facce da liceali ripetenti, militari della Jacuzia, lassù, lontanissima da Kiev. Chissà se si riuscirà ad accertare le responsabilità vere, personali, in quei solenni teatri che sono le aule della Corte Penale Internazionale dell’Aja sui crimini di guerra (alla quale peraltro Russia, Cina e Stati Uniti, non hanno mai voluto aderire, o non hanno ratificato i trattati). E non dovremo stupirci se poi, a un certo punto, sentiremo rimbalzare una delle frasi simbolo del Novecento, la più schifosa: “Ho solo eseguito degli ordini”. E dunque tutto pare già scritto e già tutto sfuma nelle nebbie delle propagande incrociate, nell’ostensione dei martiri in prima pagina, che mischia un doveroso “è giusto sapere” a un nuovo terrificante uso di quei morti: più armi! Più missili! Più carrarmati! Insomma, “più guerra” – è la risposta – non “meno guerra”; e quindi più barbarie.
Così succede che la guerra infetta ogni cosa. In guerra fanno carriera i peggiori, gli istinti più orribili vengono premiati, incoraggiati, l’assenza di pietà è un notevole valore, come si è visto in ogni posto dove sia passata. E dietro, nelle retrovie – anche questo si sa da sempre – fanno affari i più cinici, quelli che scommettono sul prolungarsi del conflitto, che cementano nazionalismi, che soffiano sul fuoco, che vendono armi, eccetera eccetera.
Tutte cose che si sanno, ed eccoci, oplà, ricaduti nel grande gioco della Storia, in cui le vite dei caduti civili e innocenti scompaiono di nuovo, smettono di essere vite reali, storie personali, e diventano statistiche, casi di scuola da rimbalzarsi addosso per sostenere tesi, o teorie, o ricostruzioni, e ognuno avrà il suo massacro di riferimento, che coi poveri massacrati non c’entra più quasi niente, anche se la guerra sono loro.

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