domenica 3 aprile 2022

L'Amaca

 

Quando finirà la guerra
di Michele Serra
A leggere le lenzuolate di numeri (miliardi e miliardi di euro) sotto la voce “spese militari nel mondo”, ci si domanda come sia possibile che l’umanità, con tutti i problemi che ha, possa spendere una così smisurata montagna di denaro in armamenti.
A sciogliere l’enigma può aiutarci questa considerazione. Laddove qualcuno spende, c’è qualcuno che incassa. E dunque la dicitura “spese militari” è parecchio fuorviante.
Se li chiamassimo “guadagni militari”, oppure, facendo una media del dare e dell’avere, “economia militare”, cominceremmo a capire meglio perché, ogni anno, circa duemila miliardi di euro vengono stanziati dai governi per comperare armamenti. Mica finiscono nel nulla. Fanno la fortuna di molte aziende (con il vasto indotto dei commercianti e dei mediatori), incrementano bilanci, ingrassano azionisti e investitori (anche investitori inconsapevoli, che non conoscono nel dettaglio la destinazione dei loro risparmi), e addirittura tornano in parte, sotto forma di tasse, agli Stati che acquistano gli armamenti. Per non dire del ritorno economico degli Stati nel caso che le aziende che producono armi siano statali o parastatali.
Nulla si crea, nulla si distrugge (a parte le città bombardate e i campi bruciati). La sbalorditiva circolazione di quattrini attorno alla guerra — o alla difesa, se amate gli eufemismi — ha una sua ricaduta molto vitale sull’economia mondiale.
In termini economici non è uno spreco, e anzi può essere un ottimo investimento. Non lo dico per fare la morale (a chi, poi?) ma per dare una forma più leggibile a quanto accade, è accaduto, accadrà. La guerra è (anche) un grande business. Il giorno che non lo fosse più, la guerra finirebbe.

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