lunedì 28 marzo 2022

Lezione

 

Questa guerra piace tanto a chi non l’ha mai vissuta
LA LEZIONE DEL CRISTO DI DONATELLO - La nostra generazione di potenti ci sta trascinando verso l’abisso perché l’abisso non sa che cosa sia. E perché ha scelto di essere terribilmente ignorante
DI TOMASO MONTANARI
Questa Europa in guerra è governata da una generazione che non sa cosa sia la guerra. Quella che si era trovata costretta a fare la Resistenza, aveva fondato su quell’esperienza lacerante un’idea di Europa radicalmente diversa. Alle Fosse Ardeatine si legge: “Qui fummo trucidati, vittime di un sacrificio orrendo. Dal nostro sacrificio sorga una patria migliore, e duratura pace tra i popoli”. Nessuna estetica del morire per la patria: il sacrificio era orrendo, la patria da cambiare. Il fine non negoziabile: mai più tornare indietro, mai più un’altra guerra. Come il Cristo risorto dell’ultimo Donatello, sui pulpiti di San Lorenzo: vincitore, ma disfatto. Un soldato anche lui sconfitto: un vincitore che con la morte non vuole, non può, avere più niente a che fare.
Il ripudio costituzionale della guerra, ben più di un rifiuto, nasce qua. In Costituente si dirà che è la scuola, non più l’esercito, il presidio della nazione. Nel Manifesto di Ventotene è senza appello la condanna degli stati-nazione: “La sovranità assoluta degli stati nazionali ha portato alla volontà di dominio sugli altri e considera suo ‘spazio vitale’ territori sempre più vasti. Questa volontà di dominio non potrebbe acquietarsi che nell’egemonia dello stato più forte su tutti gli altri asserviti”. E oggi vediamo coi nostri occhi che “basta che una nazione faccia un passo più avanti verso un più accentuato totalitarismo, perché sia seguita dalle altre nazioni, trascinate nello stesso solco dalla volontà di sopravvivere”.
La nostra generazione di potenti ci trascina verso l’abisso perché non ha vissuto la guerra. E perché ha scelto di essere terribilmente ignorante: convinta che bastassero finanza e tecnologia, ha rinunciato con disprezzo alla cultura umanistica. “Fare soldi per fare soldi per fare soldi”. Già: a che mai poteva servire conoscere Omero, leggere Erasmo, guardare Donatello? Eppure è lì che si trova la medicina contro il veleno della guerra. Lungo millenni di stragi inenarrabili, lì si è addensata la forza di pensieri e parole capaci di conservarci umani, resistendo nonostante tutto all’amore per la guerra. Proprio ciò che servirebbe al manipolo di tecnocrati e affaristi che ora gioca con i missili senza nemmeno il pathos della consapevolezza, senza provare un grammo di orrore per ciò che prepara.
Accostate il discorso di Draghi davanti a Zelensky (secco freddo cinico pedestre, senza un sussulto di responsabilità) all’inno omerico ad Ares (il Marte dei romani), anonimo capolavoro del pensiero antico, in cui si invoca il dio della guerra perché freni la guerra: “Ascoltami soccorritore dell’umanità … irradia di lassù la tua amica luce sopra le nostre vite, e la tua forza guerriera: così che io possa scacciare dalla mia testa l’odiosa viltà, e frenare quello slancio fallace del mio animo, e trattenere quella stridula voce nel mio cuore che mi provoca a gettarmi nella guerra agghiacciante. Tu, o beato, donami il coraggio: lasciami indugiare al sicuro nelle leggi della pace, e sfuggire così allo scontro con i nemici, al destino di una morte violenta”. Il coraggio della pace, la forza della pace: e la viltà della guerra, la debolezza di cedere ad essa. Quanto avremmo bisogno di queste parole, oggi: di questo modo di guardarci dentro. “L’inno – commenta James Hillman – risponde a questa antica domanda: come iniziano le guerre? Nella stridula voce nel cuore del popolo, nella propaganda della stampa, nei capi che vedono nemici ovunque e cercano pretesti per combattere. Slancio fallace e ondata di falsità si promuovono a vicenda, sicché siamo ingannati da un senso di urgenza e ci giustifichiamo con l’ipocrisia di nobili proclami”.
Non è forse quello che sta succedendo? Mandiamo armi convenzionali, ci prepariamo a quelle chimiche, rompiamo il tabù nucleare. Corriamo, a rotta di collo, ad aumentare la spesa militare. La retorica dell’eroismo sale, come una febbre maligna. Come la propaganda: Putin è Hitler, “vuole arrivare a Berlino”, anzi “a Lisbona”. L’Ucraina deve entrare nella Ue, anzi nella Nato: a un passo dall’apocalisse atomica. E via, in un folle crescendo che brucia, in pochi giorni, decenni di saggezza.
Così l’intera Europa sta al gioco paranoico del despota Putin, parla la sua stessa lingua, invoca lo stesso fuoco della guerra invece che la freddezza della pace – fatta di attesa, indugio, dialogo, ponderazione, mediazione, compromesso. E i peggiori sono i potenti che si dicono cristiani: “Essi reprimono e nascondono tutto ciò che potrebbe conservare la pace, esagerano ed esasperano tutto ciò che possa dare inizio a una guerra” – notava Erasmo, sgomento.
Intanto, gli ucraini combattono: lo fanno per i valori dell’Occidente, diciamo. Per noi. Noi: gli ipocriti. Noi che alimentiamo la guerra, invece di costruire la pace. Noi che ci diamo da fare perché la guerra si prolunghi. “Dulce bellum inexpertis”, diceva ancora Erasmo: solo chi non l’ha provata sul proprio corpo può desiderare che la guerra duri ancora.

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