mercoledì 2 marzo 2022

E Daniela!

 

Dopo il virus, c’è la videoguerra
Sarebbe un’occasione per ragionare sullo stato di salute della democrazia, ma preferiamo l’infotainment. Ai minimizzatori darwinisti del virus, adesso sono subentrati gl’interventisti da divano

DI DANIELA RANIERI

Nel giro di pochissime ore, la comunicazione emergenziale si è spostata su un nuovo oggetto perturbante, mantenendo i suoi codici allarmistici e tutto sommato i suoi effetti analgesici. I giornali e le tv, obliterata la Covid (che ha fatto quasi 6 milioni di morti nel mondo e continua a farne ogni giorno), si sono dati a lunghi speciali sulla guerra della Russia all’Ucraina; resiste qualche Guido Rasi, un Pregliasco, qualche domanda lasca: quando potremo togliere le mascherine? Quanto dura l’immunità della terza dose?

La pandemia è finita, come da decreto. Generali in mimetica spiegano l’Operazione Porcospino come fino a poche settimane fa spiegavano l’immunità di gregge. La violenta sterzata della comunicazione non ha riguardato solo i media broadcasting: sui social, virologi presso sé stessi si sono riciclati esperti di geopolitica e cremlinologi nel salotto di casa.

La mortifera società dello spettacolo non è mai stata così viva, a patto di intendere lo spettacolo non come infodemia, come mero aumento delle rappresentazioni, ma piuttosto come una visione del mondo (“Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra persone, mediato da immagini”, Debord, 1967).

La guerra è lo spettacolo osceno per eccellenza: dopo la morte per infezione nelle terapie intensive, in definitiva asettica (infatti l’immagine più scioccante è un fuori scena, quello delle bare portate via coi camion militari a Bergamo), l’Europa sotto le bombe è la seconda intramuscolo anacronistica dentro il secolo del benessere (per i pochi ma giusti, gli eletti, i beneficiati dello sviluppo).

Ci siamo goduti a distanza le guerre in Kosovo, Iraq, Afghanistan, Libia, Siria: missioni post-neo-coloniali per l’Occidente salvatore del mondo, esportatore menzognero dei “nostri valori”; valori ai quali l’Isis attentava spettacolarizzando il terrore, per il resto alacremente calpestati e violati dalla politica e dall’asettica e sovranazionale legge della finanza, con la nostra docile indifferenza.

I nostri valori: la democrazia al servizio del potere; la Costituzione tradita; lo Stato sociale eroso con pervicacia; nessun salario minimo, per accontentare le imprese; scuola trasformata in serbatoio di lavoratori minorenni non retribuiti e fucina di start-upper; libertà di stampa minacciata dai potenti con la scusa della privacy. La lotta per i diritti di tutti si è ridotta alla difesa del nostro “stile di vita”, che poi è la scansione del tempo stabilita dai tempi della produzione e del consumo. Non è un caso se tanto dopo gli attentati degli jihadisti quanto alla comparsa della Covid i leader di destra e di sinistra hanno reclamato il diritto all’aperitivo. Non più cittadini, siamo consumatori e spettatori-produttori di notizie blandamente scioccanti. Abbiamo visto le nostre abitudini sconvolte dai lockdown, con tutte le merci a disposizione dei nostri desideri; Netflix è diventata un genere di conforto; tutto pur di non pensare a quanto fosse miserabile la nostra vita. Indifferenti ai sotto-ultimi e anzi con essi competitivi, tosti nei “respingimenti” dei profughi, ma pronti alla morte per un mojito.

La realtà costringerebbe a pensare a quanto siano fragili le due conquiste su cui credevamo di aver costruito la cosiddetta civiltà avanzata occidentale: allungamento della vita media e democrazia.

La salute ci è parsa un diritto acquisito proprio mentre al welfare e alla Sanità pubblica si stavano sostituendo il welfare del privilegio e la sanità privata, che ingrassava grazie ai pazienti trasformati in clienti e ai contributi regionali e statali.

La pandemia ha mostrato a che livello erano le falle del Sistema sanitario: mancanza di mascherine per i medici e gli infermieri, reparti chiusi, assunzioni di personale bloccate, pronto soccorso e terapie intensive già in affanno per la normale amministrazione.

I governi Monti, Letta e Renzi sono quelli che hanno tagliato più risorse alla Sanità, oltre a dare ad essa meno risorse di quelle programmate; in totale, un taglio di 37 miliardi in 10 anni; il governo Renzi tolse dal tariffario pubblico 208 esami prima gratuiti, perché “non necessari”, capricci da ipocondriaci. Così la pandemia ci ha colti: poveri, con gli anziani malridotti e gli ospedali allo stremo.

Ci è bastato guardare altrove: tanto morivano solo i vecchi, “non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese” (frase icastica di Giovanni Toti): anni di spot e di informazione nevrotizzante per la prevenzione buttati nella pattumiera.

La fine della solidarietà intergenerazionale e interclassista hanno avverato la profezia micidiale di Margaret Thatcher: “Non esiste la società, esistono solo gli individui”.

Abbiamo rimosso quel che intralciava il falso mito della crescita: 5 milioni di poveri assoluti prima della pandemia, 6 dopo; la lotta di classe risolta a favore dei ricchi: “Il 93 per cento dei guadagni della ripresa sono andati all’1 per cento dei più ricchi” (Piketty, 2013). Banchieri gangster rapinavano la ricchezza collettiva; “visionari” e ricconi da copertina con una mano facevano cadere briciole per i poveri (come vuole la trickle-down theory), con l’altra arraffavano il 90% dei beni mondiali. Intanto la sinistra portava avanti l’agenda neoliberista di lotta allo Stato sociale, inteso come minaccia all’individualismo e alla libertà d’impresa. Lo Statuto dei lavoratori è stato distrutto da un governo di giovani carini e di “sinistra”, tra pochissime voci di dissenso. Bisognava sfoltire i processi decisionali, velocizzare, rispondere alle esigenze performative di una società spettacolare, lucidata dalle eccellenze e fondata sul “merito”, mentre laureati e dottori di ricerca erano costretti ad accettare lavoretti precari, con contrattini finti “a tutele crescenti”.

Ora 300 morti al giorno non sono più interessanti. Draghi riapre l’Italia. Naturalmente non ci si sta preparando a un’eventuale ondata autunnale. Non siamo più in una guerra metaforica: siamo scioccati dai carrarmati di Putin e divoriamo immagini fino all’anestesia. Sarebbe l’occasione di ragionare sullo stato di salute della democrazia dell’Impero del Bene, ma preferiamo l’emergenza spettacolare, l’infotainment, il genere che mischia informazione (approssimativa) e intrattenimento, la bulimia dei tweet. Ai minimizzatori darwinisti del virus sono subentrati gli interventisti da divano.

Ci volevano eventi estremi, una pandemia e una guerra in Europa, per chiarire che la salute e la democrazia sono conquiste sociali, non naturali; e che noi, satolli e frustrati, non siamo disposti a lottare né per l’una né per l’altra.

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