La Calabria senza intensive e quei due miliardi mai spesi per il rilancio della sanità
Dopo la morte di Ginevra, uccisa dal Covid a due anni
di Alessia Candito
Alle 18 ampiamente passate, il dottore Lino Caserta si concede la prima pausa. Il turno in ospedale è finito da un pezzo, la sua giornata di lavoro no. «E non so per quanto andrà avanti — sospira — Ho 16 visite. Programmate. Ma di sicuro si presenteranno altri. Li mando via?». Non si può, perché l’Ace, l’ambulatorio di medicina solidale che con altri colleghi ha fondato più di dieci anni fa alla periferia nord di Reggio Calabria, per molti è l’unico modo per avere accesso a visite specialistiche che nel pubblico tarderebbero mesi. All’Ace chi può e vuole fa una donazione, gli altri no, si fa diagnostica, ricerca, prevenzione. Ma quando il suo centro viene definito «un miracolo » — in 10 anni è successo spesso — Caserta si arrabbia. «Siamo la prova che un’altra sanità è possibile».
Del resto, quell’ambulatorio funziona come una casa della salute. In Calabria sono state progettate e finanziate nel 1998, ma sono rimaste su carta insieme ai 49 milioni di euro che la Regione Calabria non ha mai speso. Per l’edilizia sanitaria ci sono più di un miliardo e 400 milioni, inutilizzati come i progetti di nuovi ospedali o di ristrutturazione e potenziamento dei vecchi, riciclati di decreto in decreto e mai realizzati. Altri 87 milioni sono stati messi a disposizione per portare uomini e mezzi nei reparti al collasso, ma non sono mai stati erogati perché manca il piano operativo. Dei fondi Covid, ha messo nero su bianco la Corte dei conti, Regione Calabria ha speso solo 37 milioni e 215 mila euro dei 115 milioni ricevuti. I 5,7 milioni del piano di potenziamento ospedaliero sono arrivati tutti, ma nella migliore delle ipotesi ci sono cantieri aperti, spesso neanche i progetti.
«E questi sono solo esempi. In Calabria non si usano i fondi o si usano male», si danna Rubens Curia, medico e manager della sanità, da anni cuore di una rete di sanitari e associazioni del terzo settore che si batte per una riforma della sanità calabrese. Commissariata dal 2010 perché sommersa di debiti e incapace di raggiungere i livelli essenziali di assistenza, oggi ancor più in rosso e ancora incapace di offrire salute, nonostante costi ai calabresi circa 100 milioni all’anno di Irap e Irpef. Insomma, si paga di più per meno servizi. Anche perché il commissariamento ha significato 18 ospedali cancellati dalla sera alla mattina, tagli lineari nei reparti spogliati di quasi il 15% del personale, blocco del turnover, zero investimenti.
Alla ‘Ndrangheta, però, i soldi arrivano. Due aziende sanitarie provinciali sono state sciolte per mafia, di recente due inchieste della procura antimafia di Reggio Calabria, guidata da Giovanni Bombardieri, hanno raccontato come appalti e forniture fossero “cosa dei clan” anche grazie all’intervento di uno o più politici. Oppure capita che le fatture vengano pagate due o tre volte, o che i fondi si sprechino in more e spese legali a causa di contenziosi per i pagamenti lumaca. «La contabilità calabrese continua a essere per buona parte orale e comunque lacunosa», constata il ministero.
Risultato? Liste d’attesa di 151 giorni per una ecografia della tiroide o di oltre 130 per un ecocardiogramma, 4 milioni di spesa per la specialistica privata, un’aspettativa di vita in buona salute pari a 52 anni contro i 69 della provincia autonoma di Bolzano, 300 milioni di euro di mobilità passiva. E una rete pediatrica che non c’è perché mancano la neuropsichiatria, i pronto soccorso, un’unità di terapia intensiva dedicata, e nei 4 posti ricavati a Cosenza nel reparto adulti non si può fare ventilazione extracorporea (Ecmo). Così i pazienti, come la piccola Ginevra e almeno altri due negli ultimi mesi, partono per il Bambino Gesù di Roma.
«Ho avviato un’indagine interna, ma è già in preparazione un decreto per sbloccare la creazione di dieci posti di terapia intensiva pediatrica a Catanzaro. E l’Ecmo ci sarà. Altri 84milioni andranno subito all’acquisto di attrezzature» dice il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, che allarga le braccia e sospira: «Sono commissario da due mesi e ho trovato un disastro». Il cahier de doléances è lungo, ma le responsabilità? «La Calabria è stata devastata dal commissariamento, frutto degli errori di destra e sinistra. Ma datemi un anno».
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