I gradini e la scala
di Michele Serra
Leggere articoli sulla riconversione verde e sentirsi ottimisti sul futuro è tutt’uno.
L’innovazione tecnologica scintilla ovunque, è un fiorire di startup, idee ingegnose, nuove frontiere. Una specie di neo-positivismo che sicuramente ha il merito di non essere deprimente, ma forse ha il demerito di credere che la tecnologia risolva qualunque problema. Compresi alcuni aspetti strutturali (l’aumento incessante della popolazione e delle bocche da sfamare, i limiti delle risorse, la bulimia del consumismo, il colossale spreco alimentare) che sarebbero invece, per loro natura, questioni politiche e culturali.
La tecnologia è indispensabile. Fa compiere salti di qualità, apre orizzonti nuovi. Ma un eventuale dibattito sul controllo delle nascite è squisitamente politico, etico, religioso. Idem la gestione e il controllo delle risorse. Chi deve decidere il futuro dell’Amazzonia, pochi speculatori o gli interessi della collettività?
Chi stabilisce se irrigare i deserti è una priorità rispetto alla colonizzazione, molto ipotetica, di Marte, i governi del mondo o un paio di nababbi eccentrici?
La cultura di una società, la sua percezione dei bisogni, il suo orientamento politico avranno, sul futuro, una enorme incidenza, ma se ne parla poco. È come se fosse un dibattito troppo impegnativo perché lo si possa affrontare a viso aperto, accettando che possa esserci un duro conflitto, per esempio, tra interessi speculativi a breve termine (l’ingordigia coniuga i verbi solo al presente) e gli interessi sociali, e quelli delle generazioni future, che sono a medio e lungo termine. Preferiamo dunque esultare per ogni gradino di avanzamento tecnologico, ma la scala, tutta assieme, non la guardiamo perché ci spaventa.
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