Matteo come Silvio: nel 2011 stesso voto su Ruby e Mubarak
IL CASO B. - Il conflitto d’attribuzione tra poteri dello Stato era già stato sollevato da Silvio, nell’aprile 2011. L’allora presidente del Consiglio era sotto inchiesta, accusato di prostituzione minorile e (soprattutto) di concussione, per aver fatto pressioni, nella notte, sui dirigenti della Questura di Milano affinché liberassero “la nipote di Mubarak” fermata per furto
DI GIANNI BARBACETTO
Matteo Renzi non ha inventato niente: il conflitto d’attribuzione tra poteri dello Stato (che ha voluto oggi per far sparire dall’inchiesta Open alcuni suoi messaggi whatsapp che in verità erano stati trovati nel telefonino dell’imprenditore Vincenzo Manes) era già stato sollevato, nell’aprile 2011, da Silvio Berlusconi. L’allora presidente del Consiglio era sotto inchiesta per il caso Ruby, accusato di prostituzione minorile e (soprattutto) di concussione, per aver fatto pressioni, nella notte, sui dirigenti della Questura di Milano affinché liberassero “la nipote di Mubarak” fermata per furto. Mentre “bunga-bunga” diventa l’espressione italiana più citata nel mondo, Berlusconi e i suoi avvocati cercano il modo per bloccare il processo. Se ne incaricano i tre capigruppo della maggioranza, Fabrizio Cicchitto (Forza Italia), Marco Reguzzoni (Lega) e Luciano Sardelli (Gruppo misto) che mandano una letterina all’allora presidente della Camera, Gianfranco Fini. Gli chiedono di sollevare conflitto di attribuzioni fra i poteri dello Stato “a tutela delle prerogative della Camera”, contro l’invasione di campo della magistratura. I tre capigruppo sostengono che il loro capo non può essere processato da un tribunale normale, ma solo dal Tribunale dei ministri, perché il più grave reato contestato (la concussione) è stato (eventualmente) commesso da Berlusconi come presidente del Consiglio: ha chiamato i funzionari della Questura per evitare una grave crisi internazionale, poiché era convinto che Ruby fosse “la nipote di Mubarak”. “All’Organismo parlamentare non può essere sottratta una propria autonoma valutazione sulla natura ministeriale o non ministeriale dei reati oggetto di indagine giudiziaria”, scrivono i tre. E la Camera aveva già deciso che il reato era ministeriale: con la famosa votazione in cui, galvanizzata dalle ardite parole dell’avvocato-parlamentare Maurizio Paniz, l’aula aveva mostrato di credere che Karima El Mahrough in arte Ruby Rubacuori (marocchina) fosse davvero la nipote di Mubarak (egiziano). I magistrati di Milano erano andati avanti a sostenere che il reato eventualmente commesso non era affatto ministeriale, ecco allora intervenire i tre capigruppo, a chiedere l’intervento della Corte costituzionale.
“Si sono esposti al ridicolo di fronte al mondo”, dichiarò allora il dem Dario Franceschini, “sostenendo che si tratti di un reato ministeriale perché il presidente del Consiglio avrebbe detto che credeva che Ruby fosse la nipote di Mubarak”. La Corte costituzionale il 6 luglio 2011 dichiarò ammissibile il conflitto sollevato dalla Camera. Ma il 14 febbraio 2012 arrivò, con un comunicato di due righette, la decisione dei giudici: “In relazione al conflitto sollevato dalla Camera dei deputati nei confronti della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano e del Giudice per le indagini preliminari presso lo stesso Tribunale, la Corte ha respinto il ricorso”.
Un conflitto d’attribuzione davanti alla Consulta fu sollevato anche dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, per impedire che la Procura di Palermo utilizzasse nel processo sulla trattativa Stato-mafia le intercettazioni a Nicola Mancino in cui era stata registrata anche la sua voce. La Corte nel 2013 gli diede ragione e quelle telefonate furono distrutte. Nel 2014 diede ragione alla presidenza del Consiglio contro i magistrati che avevano indagato e processato gli agenti segreti accusati del sequestro a Milano dell’imam egiziano Abu Omar. I condannati, tra cui Niccolò Pollari e il suo braccio destro Marco Mancini, furono dichiarati improcessabili per segreto di Stato.
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