venerdì 14 gennaio 2022

Meno dieci

 

Frastornati dal cicaleccio pandemico, con si vax - no vax a discutere del nulla per l'agognato gettone di presenza dei talk show, dimentichiamo, o ci inducono a dimenticarlo, che tra dieci giorni esatti inizieranno le votazioni per eleggere il nuovo capo dello Stato. 

Orbene, l'ora è maledettamente seria in virtù della possibilità che un pregiudicato potentissimo, reso potente oltremodo da degli avversari politici compiacenti e in molte fasi delle vita politica addirittura proni (vero Violante?), possa diventare il presidente della Repubblica per sette anni, almeno che il ciclo biologico non intervenga. 

E allora dobbiamo far quadrato, sgominare la banda di ribaldi compiacenti che fingono di presentarci un padre della patria. Di 'sta minchia. 

Da oggi per dieci giorni posterò le solite frasi estrapolate da una sentenza definitiva, ove si evince che quell'ometto pagava tangenti alla mafia. 

E, come disse Totò, ho detto tutto! 


“Tali pagamenti sono proseguiti almeno fino a dicembre del 1994 – scrivono i giudici – quando a Di Natale (un boss) fu fatto annotare il pagamento di 250 milioni nel libro mastro che questi gestiva. Sino alla predetta data Dell’Utri, che faceva da intermediario di Cosa nostra per i pagamenti, riferiva a Berlusconi riguardo ai rapporti coi mafiosi ottenendone le necessarie somme di denaro e l’autorizzazione a versarle”. A quel punto, però, Berlusconi è già entrato in politica. “Vi è la prova che Dell’Utri interloquiva con Berlusconi anche al riguardo al denaro da versare ai mafiosi ancora nello stesso periodo temporale nel quale incontrava Manganoper le problematiche relative alle iniziative legislative che i mafiosi si attendevano dal governo”. A raccontarlo è il collaboratore di giustizia Salvatore Cucuzza che sostiene di aver saputo di come Dell’Utri avesse rassicurato Mancano su alcuni interventi legislativi sull’arresto per gli accusati di reati di mafia. “Ciò dimostra – prosegue la corte – che Dell’Utri informava Berlusconi dei suoi rapporti con i clan anche dopo l’insediamento del governo da lui presieduto, perché solo Berlusconi, da premier, avrebbe potuto autorizzare un intervento legislativo come quello tentato e riferirne a Dell’Utri per tranquillizzare i suoi interlocutori”.  

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