Meloni, né conservatrice né patriota: è incendiaria
DI DANIELA RANIERI
La Patria è la terra dove riposano le ossa dei padri. C’è un articolo della Costituzione che ne dispone solennemente la difesa, il 52 (“La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”). Il concetto e la sua portata antropologica non sono neutri. Sull’impostura della “Patria” si edificò il mito sanguinolento del fascismo, che seminò morte dentro e fuori i nostri confini e consegnò ai nazisti i nostri compatrioti ebrei, collaborando col nemico per distruggere paesi e città costruiti dai nostri padri. Quell’impostura divenne una religione (“il culto del littorio”, secondo un titolo di Emilio Gentile) in cui il nazionalismo colonialista si mischiò col vitalismo e col mito tossico della razza. Un mix micidiale che venne abbattuto dai partigiani, combattenti della Resistenza e patrioti, dal cui valore scaturì la nostra Costituzione.
Quando Giorgia Meloni dice (urla) che il presidente della Repubblica dovrà essere un patriota non starebbe dicendo altro, in teoria, che egli o ella sarà un garante della Costituzione nata dalla Resistenza. O no? No. Mentre onora la Patria invocando il presidenzialismo alla francese, per cui occorrerebbe modificare 13 articoli della Costituzione, si rivolge a un mondo, a un milieu, per cui quella parola è uno dei vuoti sinonimi del suo trittico dell’orgoglio italico: “Sono una madre, sono italiana, sono cristiana”. Come questi, esiste perché la narrazione che Meloni sta cercando di propinare è che c’è qualcosa o qualcuno che ci impedisce di essere patrioti, madri e padri, cristiani e italiani. I lemmi, interscambiabili, non rimandano alla parte sana del concetto di Patria (antenati, lotte risorgimentali, Resistenza), ma a una rimasticatura amnesica di ciò che che ha portato la nazione alla guerra civile: camerata, eroe, martire, con echi da crociata pre-battaglia di Lepanto.
Patriota, dice Meloni dalla festa di Atreju (buffo: una festa patriottica basata su un romanzo fantasy tedesco), è Berlusconi. Cioè colui che la Costituzione ha provato a cambiarla; che ha sempre fatto solo l’interesse suo e delle sue aziende; che ha finto di esser patriottico chiamando il suo partito (fondato con un concorrente esterno alla mafia) “Forza Italia”. L’altra parola che Meloni pronuncia spesso è “conservatori”. Ha anche lanciato un “Manifesto dei conservatori”, dopo quello per Roma firmato col suo candidato Michetti, lo speaker tributarista che avrebbe dovuto rendere Roma più grande, con citazioni di Eschilo, Margareth Thatcher, Ernst Jünger etc. Boris Johnson, ospite di Atreju, ha detto: “Essere conservatori è differente per ogni nazione ma c’è un filo che ci lega… la difesa dei valori fondamentali per la società, come la famiglia”. In effetti, chi meglio di Berlusconi difenderebbe il valore della famiglia tradizionale (non ne facciamo un discorso moralistico sulle abitudini sessuali altrui: ma loro sì). Sarebbe coerente che una leader di destra si annoverasse tra i conservatori, “che procedono guidati dalla inestinguibile luce che vien dal passato” (Bobbio). Ma eravamo rimasti che Meloni voleva scardinare le élite, rinnegare la globalizzazione, scavare come la talpa di Marx sotto l’orto dei padroni del neoliberismo imperante. E ora elogia la Thatcher e si propone di “unire tutte le forze conservatrici e liberali” a difesa dello status quo?
L’impressione è che si sia resa conto che gli italiani le stavano per chiedere conto di qualcosa di molto più nocivo per lei del mancato disconoscimento del fascismo: l’imperdonabile assenza del suo partito dalla politica vera durante due anni di pandemia. Coloro che si riempivano la bocca col sovranismo, la difesa dei sacri confini, la protezione degli italiani, cioè lei e Salvini, si sono comportati infantilmente, da bambini capricciosi, non da padri e madri responsabili, quando è scoppiata la vera emergenza, che ha piegato il Paese nella salute, nel morale e nell’economia. Invece di difendere le famiglie e la Sanità pubblica, la sicurezza nelle scuole e nelle fabbriche (sul solco di quella destra sociale di cui Meloni si era nominata titolare), hanno agitato finte paure (gli sbarchi di infetti dall’Africa, i medici che nascondevano le cure) e flirtato col complottismo. Mentre la gente moriva, hanno chiamato il popolo alle adunate di droplet senza mascherine, proprio il 2 giugno 2020, festa della Repubblica. Hanno provato a intestarsi le riaperture, ma le masse che volevano conquistare avevano più paura del virus che di non poter fare l’aperitivo. Questi patrioti deficitari, che non c’erano quando gli italiani hanno avuto bisogno di loro, sono andati per un anno in cerca di un riposizionamento. Salvini è ancora lì che vaga, stordito dai suoi fallimenti e dalla scissione psichiatrica della “Lega per Salvini” diventata ormai “Lega per Draghi”; Meloni si butta sul conservatorismo, lei che voleva lottare a fianco del popolo contro l’establishment.
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