Un vaccino contro il sistema
Slavoj Žižek
Penso che l’idea di un’enorme cospirazione al servizio del capitale sia infinitamente meno credibile rispetto alla realtà brutale della pandemia come evento contingente
Ultimamente stiamo assistendo a una graduale erosione dell’autorità di quello che Jacques Lacan chiamava “il grande Altro”, lo spazio condiviso di valori pubblici, l’unico all’interno del quale le nostre differenze e identità possono prosperare. Questa erosione è un fenomeno spesso erroneamente presentato come “era della post-verità”. La resistenza dei progressisti contro la vaccinazione in nome dei diritti umani fa venire nostalgia del socialismo democratico leninista: dibattito democratico libero, ma quando viene presa una decisione tutti devono ubbidire. Bisognerebbe interpretare questo socialismo democratico facendo riferimento alla formula usata da Kant per definire l’illuminismo: non un “disubbidite, pensate liberamente!”, ma un “pensate liberamente, esprimete i vostri pensieri pubblicamente e ubbidite!”. Lo stesso vale per chi dubita dei vaccini: discutete, rendete pubblici i vostri dubbi, ma ubbidite alle regole quando l’autorità pubblica le impone. Senza un simile consenso pratico scivoleremmo lentamente in una società fatta di fazioni tribali.
Qui possiamo osservare chiaramente il legame tra libertà individuale e coesione sociale: quella di scegliere se vaccinarsi o no è un tipo di libertà. Tuttavia rifiutare di vaccinarsi implica concretamente una limitazione della libertà degli altri. All’interno di una comunità, essere vaccinati significa essere una minaccia molto minore per gli altri (e che gli altri siano una minaccia per noi), e ci permette di esercitare in maniera molto maggiore la libertà sociale di mescolarci con le altre persone. La nostra libertà è tale solo all’interno di un certo spazio sociale regolamentato da divieti e regole. Possiamo camminare liberamente in una strada affollata perché siamo ragionevolmente certi che gli altri, per strada, si comporteranno in maniera civile nei nostri confronti, saranno puniti se ci aggrediscono, c’insultano e così via. Per la vaccinazione vale esattamente lo stesso. Naturalmente possiamo batterci per cambiare le regole della vita quotidiana – ci sono situazioni nelle quali le regole possono essere allentate, ma anche rafforzate, come nel caso di una pandemia – però è necessario avere un insieme di norme che costituiscano l’ambiente naturale delle nostre libertà. In questo risiede la differenza hegeliana tra libertà astratta e concreta: nella vita concreta di tutti i giorni, una libertà astratta diventa il suo contrario perché restringe di fatto il nostro esercizio della libertà. Prendiamo il caso della libertà di parlare e comunicare con gli altri: possiamo esercitarla se ubbidiamo alle regole di linguaggio comunemente accettate (con tutte le loro ambiguità, comprese le regole non scritte dei messaggi tra le righe). La lingua che parliamo non è ideologicamente neutra, ma incarna molti pregiudizi e ci rende impossibile la formulazione chiara di alcuni pensieri non comuni: il pensiero ha sempre luogo nel linguaggio (Hegel sapeva anche questo) e porta con sé una metafisica (visione della realtà) del buon senso, ma per pensare davvero dobbiamo pensare in un linguaggio contrario a questo linguaggio. Le regole del linguaggio possono essere cambiate per rendere possibili nuove libertà, ma i problemi dell’orwelliana neolingua politicamente corretta mostrano chiaramente che l’imposizione diretta di nuove regole può produrre risultati ambigui e dare vita a nuove e più sottili forme di razzismo e sessismo.
La disintegrazione dello spazio pubblico è al suo peggio negli Stati Uniti, e può essere illustrata bene con un dettaglio della vita quotidiana. In Europa il pianterreno di un edificio è contrassegnato con il numero zero, e quello sopra è il primo piano. Ma negli Stati Uniti il primo piano è quello al livello della strada. In poche parole, gli statunitensi cominciano a contare dal numero uno, mentre gli europei sanno che l’uno è un sostituto dello zero. Per inquadrare la cosa in termini più storici, gli europei sanno che, prima di cominciare a contare, deve esserci un “terreno” comune accettato, un terreno che sia sempre assegnato e che, come tale, non deve essere conteggiato. Al contrario negli Stati Uniti, terra priva di una tradizione storica premoderna, questo terreno non esiste. Ma ne siamo sicuri? L’inghippo è che lo zero non è mai neutrale ma è invece uno spazio condiviso d’egemonia ideologica attraversato da antagonismi e incoerenze. Lo spazio delle voci incontrollate della post-verità rimane comunque una forma di grande Altro. Dobbiamo quindi esprimere la nostra rivendicazione in una maniera più specifica e precisa: ignorare il terreno comune ottenebra una forma ancora più forte di grande Altro.
Alcuni lacaniani (tra cui Jacques-Alain Miller) spesso sostengono l’idea che oggi, nell’era delle fake news, le notizie false, il grande Altro non esista più. Ma è proprio così? E se invece esistesse più che mai, però in una nuova forma? Il nostro grande Altro non è più lo spazio pubblico chiaramente distinto dalle oscenità degli scambi privati, ma proprio quello spazio pubblico in cui circolano le notizie false e ci scambiamo teorie del complotto e pettegolezzi. Non bisogna perdere di vista la cosa più sorprendente nella spudorata oscenità della cosiddetta alt-right, un movimento di estrema destra, così ben notata e analizzata da Angela Nagle. Tradizionalmente, una spudorata oscenità pubblica agiva come forza sovversiva, come se privasse un dominatore della sua falsa dignità. Ciò a cui assistiamo oggi, con l’esplosione delle oscenità pubbliche, non è la scomparsa delle figure autoritarie, ma la loro riapparizione forzata.
È proprio in questo senso che gli Stati Uniti sono oggi il paese di questo nuovo e osceno grande Altro: lo zero che gli manca sempre di più è lo zero della dignità pubblica, di un impegno condiviso. Inoltre questo osceno grande Altro è rafforzato (anche se spesso in maniera confiittuale) dall’altro grande Altro della competenza imparzale nelle sue diverse forme (apparati di stato, ordine legale, scienza). È qui che emerge il vero problema: possiamo fidarci di questo grande Altro, anche se è nella sua forma scientifica? Non è forse vero che anche la scienza è intrappolata nelle procedure di sfruttamento e dominio tecnologico, e degli interessi capitalistici? La scienza non ha forse perso da tempo la sua neutralità? Non è questa neutralità, fin dai suoi albori, una maschera del dominio sociale? Applicando la cosa alla pandemia, questa intuizione non ci obbliga forse a problematizzare la giustificazione medico-scientifica delle misure di confinamento e di altre reazioni alla pandemia?
Il sostenitore più articolato dello scetticismo nei confronti del covid-19 in chiave marxista è il filosofo Fabio Vighi, secondo cui, se uniamo i puntini forniti dall’analisi approfondita del contesto finanziario della pandemia, possiamo “vedere emergere uno schema narrativo ben definito”:
I confinamenti e la sospensione globale delle transazioni economiche avevano due obiettivi: permettere alla Federal reserve statunitense d’inondare i mercati finanziari in difficoltà con denaro fresco di stampa, scoraggiando al contempo l’iperinflazione; introdurre programmi di vaccinazione di massa e passaporti sanitari come pilastri di un regime neofeudale di accumulazione capitalistica. La narrazione convenzionale dovrebbe quindi essere rovesciata: nel marzo 2020 il mercato azionario non è crollato perché è stato necessario imporre dei confinamenti. Casomai questi ultimi sono stati imposti perché i mercati finanziari stavano crollando. Sars-cov-2 è il nome di una speciale arma di guerra psicologica utilizzata in un momento di grande necessità. L’obiettivo di questo febbrile stampare denaro era quello di colmare dei pericolosi vuoti di liquidità. La maggior parte di questo ‘denaro magico’ è ancora congelata all’interno delle pieghe del sistema bancario, delle transazioni azionarie e in vari sistemi di valuta virtuale che non sono concepiti per la spesa e l’investimento. La loro funzione è unicamente quella di fornire prestiti a basso costo alla speculazione finanziaria. È quello che Marx chiamava “capitale fittizio”, che continua a espandersi in un’orbita cosmica ormai totalmente indipendente dai cicli economici del mondo reale. Il senso della cosa è che non si può permettere a tutto questo denaro d’inondare l’economia reale perché altrimenti questa si surriscalderebbe e scatenerebbe un’iperinflazione.
Insomma, non sarebbe la pandemia che costringe l’ordine capitalistico a uno stato d’emergenza, bensì il capitalismo globale stesso che aveva bisogno di uno stato d’emergenza per evitare una crisi molto più grave del crollo del 2008. La pandemia sarebbe quindi stata creata come una scusa provvidenziale per giustificare lo stato d’emergenza. In contrasto con il filosofo Giorgio Agamben, che si è concentrato sul modo in cui la pandemia ha giustiffcato uno stato d’emergenza permanente, Vighi parla di riproduzione del capitalismo. Il passaggio dal capitalismo globale neoliberista al capitalismo neofeudale è il processo fondamentale che usa le contingenze storiche come scuse. Vighi non ha paura di aggiungere a queste scuse i confinamenti giustificati con motivazioni ambientaliste: invece di affrontare semplicemente il capitalismo e i suoi limiti, le crisi ecologiche possono essere – e saranno – usate come un metodo scientifico per disciplinare e controllare la popolazione. Il “capitalismo verde” non sarebbe solo una maschera umanitaria dell’ordine globale, ma anche un modo con cui il grande capitale privato controlla il piccolo capitale.
Vighi tiene conto della complessità della situazione: gli interessi delle case farmaceutiche, il modo in cui le valutazioni scientifiche degli esperti giustificano nuove forme di regolamentazione e controllo sociale che disciplinano il comportamento della popolazione e via dicendo. Il suo modo di ragionare contiene molte intuizioni acute, e la premessa fondamentale della sua analisi economica colpisce nel segno. Come ha già notato l’economista Yanis Varoufakis, un importante indizio di questa nuova fase del capitalismo è stato uno strano fatto successo nella primavera del 2020: lo stesso giorno in cui le statistiche statali del Regno Unito e degli Stati Uniti hanno registrato uno spaventoso calo del pil, i mercati finanziari hanno registrato una crescita gigantesca. In poche parole, anche se l’economia reale era in fase di stagnazione o addirittura di recessione, i mercati finanziari crescevano: un segno del fatto che il capitale fittizio è prigioniero della sua stessa spirale, dissociato dall’economia reale. È qui che le misure finanziarie giustificate dalla pandemia sono entrate in gioco: in un certo senso, hanno rovesciato i tradizionali meccanismi keynesiani, nel senso che il loro obiettivo non era aiutare l’economia reale ma investire enormi quantità di denaro nella finanza (per evitare un collasso finanziario come quello del 2008), facendo in modo che la maggior parte di questo denaro non si riversasse nell’economia reale (perché la cosa avrebbe provocato un’iperinflazione).
Anche i momenti di crescita economica durante la pandemia hanno fornito un esempio di ciò che gli economisti di sinistra definiscono il “paradosso di Lauderdale”, che si nota quando i grandi patrimoni individuali crescono a scapito della ricchezza condivisa. La ricchezza più preziosa di una società è costituita da beni liberamente disponibili, come acqua o aria, ma non sono conteggiati come risorse che arricchiscono le persone.
Per esempio, se l’acqua è facilmente disponibile nessuno ci si arricchisce, ma se è controllata da aziende private i proprietari di queste aziende si arricchiscono. Di conseguenza, dal punto di vista tecnico esiste più ricchezza in una società dove si paga per l’acqua, poiché l’acqua liberamente disponibile non è conteggiata come ricchezza. Questo esempio è diventato ancora più attuale oggi che la privatizzazione dell’acqua è diventata uno degli obiettivi dei programmi neoliberisti: i proprietari delle aziende di fornitura d’acqua diventano più ricchi mentre le masse di chi ne ha bisogno s’impoveriscono.
Può dirsi lo stesso per la pandemia? C’è stata un’enorme crescita della produzione nell’industria farmaceutica – non solo vaccini, ma anche mascherine, strumenti sanitari eccetera – il che crea formalmente una crescita economica, nonostante le persone in realtà diventino più povere. E si può essere certi che il riscaldamento globale genererà un’ulteriore quota di questa “crescita economica”.
Lo stesso vale per l’aria: se, a causa del peggioramento dell’inquinamento atmosferico avremo bisogno di ossigeno per respirare, la nostra società diventerà formalmente molto più ricca ed emergerà una nuova e lucrativa industria.
Per questo apprezzo molto il lavoro di Vighi. Quel che trovo problematico, però, è il modo in cui rovescia i nessi di casualità: come possiamo vedere nel passaggio citato sopra, invece della versione ufficiale, secondo cui è la pandemia a determinare i confinamenti e altre misure di protezione della salute, Vighi fa delle necessità del capitale l’agente determinante che usa (o addirittura determina direttamente) la pandemia per giustificare le misure di confinamento. Soprattutto quando lo studioso aggiunge agli elementi che giustificano i confinamenti anche le crisi ecologiche, mi pare che proceda in maniera affrettata. La pandemia non è un’invenzione fittizia o l’esagerazione di un rischio che sarebbe in realtà una semplice variante dell’infiuenza: il pericolo è reale, e bisogna prendere misure per combatterlo. La scienza che studia il covid-19 è una scienza vera e propria. Le misure proposte dalle autorità sanitarie sono, naturalmente, distorte dagli interessi delle grandi aziende e dagli interessi della dominazione e del controllo sociale. Ma è proprio qui il problema: gli unici strumenti autonomi che abbiamo per combattere una minaccia reale sono distorti dall’establishment. È questo che rende tragica la situazione: siamo ricattati nella vita di tutti i giorni. Sì, le misure messe in campo sono distorte, ma sono l’unica cosa che abbiamo, non possiamo ignorarle. Soprattutto non possiamo fare quel che implicitamente sostiene Vighi: rompere l’incantesimo della retorica uficiale che giustifica le misure d’emergenza e tornare alla nostra normalità di ogni giorno.
Concepire un sottoprodotto così catastrofico del capitalismo come parte di un gigantesco piano somiglia troppo a un ragionamento paranoico. Presuppone che la Cina sia parte della stessa gigantesca cospirazione capitalistica. Presuppone che la scienza, in così tanti paesi diversi, possa essere manipolata facilmente dall’establishment. In questo strano mondo paranoico Donald Trump dice la verità mentre Greta Thunberg è un’agente del grande capitale.
Conosco personalmente persone morte di covid- 19, conosco ricercatori che stanno analizzando il virus da diverse prospettive (medica, statistica e via dicendo), conosco i loro dubbi e i loro limiti, che espongono apertamente e che fanno parte del loro approccio scientifico. Per loro la fiducia nella scienza è esattamente l’opposto dell’ortodossia dogmatica: è la fiducia in un’esplorazione che progredisce costantemente.
Per tutti questi motivi, penso che l’idea di un’enorme cospirazione al servizio del capitale sia infinitamente meno credibile rispetto alla realtà brutale della pandemia come evento contingente. Un evento abilmente sfruttato dall’establishment, però in un modo di per sé contraddittorio: la pandemia richiederebbe maggiori cooperazione e coordinamento sociale, ma genera allo stesso tempo una reazione difensiva del capitale, in un tentativo di limitare i danni. Trovo particolarmente problematica l’idea che, allo stesso modo, la minaccia ecologica possa essere stata inventata (o perlomeno esagerata) per rafforzare l’emergere del capitalismo neofeudale. Il riscaldamento globale è una realtà traumatica che chiaramente impone una socializzazione dell’economia. La tendenza per lo più dominante dell’establishment capitalista è sminuire la minaccia, e il fatto che questo sia astutamente usato dall’ordine globale è un fatto secondario, dalla portata limitata.
Un altro fatto che dovrebbe attirare la nostra attenzione è il modo in cui, all’inizio del 2020, il covid-19 è improvvisamente diventato un argomento centrale per i nostri mezzi d’informazione, eclissando tutte le altre malattie e perfino le notizie politiche (anche se altre malattie e disgrazie stavano provocando molte più sofferenze e morti).
Oggi il covid-19 è ancora molto forte, ma confinamenti e altre misure protettive sono molto meno difiuse. Questo significa che l’establishment ha deciso che possiamo tornare a una normalità limitata perché il confinamento ha svolto il suo ruolo sociale ed economico? Credo che la strana normalità in cui stiamo entrando potrebbe essere spiegata molto meglio con la psicologia delle masse: in situazioni traumatiche, i tempi della reazione non seguono la realtà, le persone finiscono per essere esauste per lo stato d’emergenza permanente, e una stanca indifferenza comincia a prevalere.
Però qui bisogna fare un passo avanti. Il panico così come il suo contrario – ovvero la stanchezza e l’indifferenza – non sono solo categorie della vita psichica, ma possono emergere (nella forma che assumono oggi) come momenti del processo sociale del cambiamento di status del grande Altro. Un anno e mezzo fa eravamo nel panico a causa del disintegrarsi di un grande Altro che potevamo condividere e sul quale potevamo fare affiidamento: non esisteva un’autorità capace di fornire una mappatura cognitiva globale della situazione. L’importanza di questa dimensione – dei cambiamenti nella modalità di produzione di simboli – era già stata trascurata da Marx: per combattere la pandemia e il riscaldamento globale serve un nuovo grande Altro, un nuovo spazio di solidarietà radicato nella scienza e nell’emancipazione.
Nei conflitti e nelle lotte in corso oggi è fondamentale fare la scelta giusta. Il conflitto tra gli scettici del covid-19 e i sostenitori delle misure antipandemia non può essere direttamente traslato nello scontro politico. Per questo anche chi si riconosce nella sinistra radicale deve fare una scelta.
Il 9 settembre 2021 il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha annunciato dei regolamenti che impongono alla maggior parte dei dipendenti federali di vaccinarsi contro il covid-19 e obbligano i datori di lavoro con molti dipendenti a sottoporre questi ultimi a vaccinazioni o a test settimanali. Queste nuove misure saranno applicate a circa due terzi di tutti i dipendenti degli Stati Uniti. “Siamo stati pazienti”, ha detto Biden alle decine di milioni di statunitensi che hanno riflutato di vaccinarsi contro il covid-19.
“Ma la nostra pazienza si sta esaurendo, e il vostro rifluto sta costando caro a tutti noi”. È una mossa per affermare il controllo dello stato sull’individuo e rafforzare il grande capitale? No, io accetto “ingenuamente” che sia solo una decisione che aiuterà milioni di persone.
Vighi si allinea qui con le posizioni espresse da Agamben in un’intervista allegata alla raccolta di testi sulla pandemia A che punto siamo? L’epidemia come politica (Einaudi 202o). A chi sosteneva che opponendosi alle misure di confinamento si avvicinava a Trump e Bolsonaro, Agamben aveva replicato che una verità è una verità, che venga da destra o da sinistra. Così facendo il filosofo italiano ignora la tensione tra verità e sapere: sì, un frammento di sapere è un frammento di sapere, ma l’orizzonte del sapere può cambiarne totalmente il senso. Nell’affermazione che tra i critici d’arte in Germania negli anni intorno al 1930 c’erano molti ebrei, risuona una verità diversa se la intendiamo come una conferma del fatto che gli ebrei hanno una grande sensibilità artistica o se la presentiamo come una conferma del fatto che controllano la nostra produzione artistica e la spingono sulla strada della entartete Kunst (arte degenerata). Anche se Vighi si sforza di fare proprio questo – distinguere la realtà sociale nascosta dietro al sapere medico che giustifica le misure contro il covid-19 – ignora il complesso contesto sociale e materiale che fa da sfondo alla pandemia. Il movimento circolare dell’autoriproduzione capitalista avviene su tre livelli interconnessi: la danza speculativa del capitale stesso; le implicazioni sociali di questa danza (distribuzione di ricchezza e povertà, sfruttamento, dissoluzione dei legami sociali); e il processo materiale di produzione e sfruttamento del nostro ambiente, che colpisce il nostro intero sistema-mondo e culmina nel “capitalocene”, una nuova era geologica sulla Terra. L’altra faccia della folle danza di un capitale fittizio, staccato dalla realtà, è la realtà concreta fatta d’immensi accumuli di rifliuti plastici, d’incendi forestali, di riscaldamento climatico e del velenoso inquinamento di centinaia di milioni di persone.
Quando prenderemo pienamente in considerazione questo terzo livello, potremo vedere in che modo la pandemia e il riscaldamento globale emergono come prodotto materiale dell’economia capitalistica globale. Il capitalismo ha prodotto la pandemia e la minaccia ecologica non come brutale tattica per sopravvivere alla sua stessa crisi, ma per le sue contraddizioni immanenti. La migliore formula con cui caratterizzare gli scettici nei confronti del covid-19 è quindi la lacaniana les non-dupes errent, i non creduloni sbagliano. Chi è scettico verso la retorica pubblica che parla di catastrofe (la pandemia o il riscaldamento globale) perché ci vede una macchinazione più profonda, sbaglia più di tutti perché gli sfugge il processo che ha dato vita a quella catastrofe. Vighi è quindi fin troppo ottimista: non c’è nessun bisogno che qualcuno inventi pandemie o catastrofi climatiche. Il sistema le produce da sé.
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