Bolivia, l’oro salato carburante del futuro nelle mani di Pechino
Il litio conteso del deserto di Uyuni
di Alessandro Di Battista
La Paz (Bolivia)
A Uyuni, nel lago di sale più grande al mondo, il carbonato di litio viene prodotto in un piccolo impianto-pilota. È un capannone al cui interno macchine rudimentali, ma efficaci, consentono agli ingegneri e agli operai della YLB (Yacimientos de Litio de Bolivia) di estrarre dalla salamoia che si trova sotto la crosta del “Salar” di Uyuni, l’oro del XXI secolo. L’oro bianco. Le batterie dei computer, dei cellulari e delle auto elettriche altro non sono che accumulatori agli ioni di litio. Il litio sarà la benzina dei prossimi due secoli e non a caso, proprio per lo sviluppo delle batterie elettriche, è stato assegnato ai chimici Whittingham, Yoshino e Goodenough il Nobel del 2019. La Bolivia – con 21 milioni di tonnellate stimate solo a Uyuni – è il primo Paese al mondo per riserve di litio. Uno dei paesi più poveri dell’America latina custodisce la ricchezza del futuro e anche per questo, un paio di anni fa, Washington ha sostenuto il cambio di governo sperando che con Evo Morales e il suo Movimento per il Socialismo fuori dal potere fosse cancellata la nazionalizzazione delle risorse. Con il ritorno al potere dei socialisti, le politiche sovraniste (i sovranisti in Europa nulla hanno a che vedere col vero sovranismo) son state rafforzate così come le relazioni tra Bolivia e Cina.
Nel lago di sale di Uyuni lo stabilimento di Llipi continua a espandersi anche grazie al supporto cinese. L’impianto che permette la produzione di cloruro di potassio è moderno, efficiente ed è stato realizzato dalla China Camce Engineering Co., che realizza impianti “chiavi in mano” in ogni angolo del pianeta. Sempre la Camce sta costruendo lo stabilimento industriale di carbonato di litio, che sostituirà presto l’impianto pilota aumentando la produzione dell’oro bianco. Dalla Cina oltre a macchinari, materiali e know-how arrivano anche gli operai. Boliviani e cinesi lavorano insieme, ma mangiano e dormono separati. I boliviani divorano patate e carne secca di lama, gli operai cinesi mangiano spaghetti importati e carne di maiale e manzo che loro stessi fanno essiccare al sole del Salar appendendo grandi pezzi a fili di nylon tra i prefabbricati dove dormono. Una volta consegnato l’impianto torneranno in patria prima di essere spediti in altri cantieri africani o sudamericani come pionieri dell’espansione cinese. La Cina, così come gli Usa negli ultimi 70 anni, si espande, “colonizza”. Ma non lo fa con le bombe.
Il 15 luglio scorso, a Lima, pochi giorni prima delle elezioni presidenziali l’allora candidato socialista Castillo, oggi presidente del Perù, ha incontrato Liang Yu, ambasciatore cinese “per dare priorità ai nostri rapporti di amicizia e cooperazioni”, ha detto Castillo. Il mondo sta cambiando. L’America latina sta cambiando. L’egemonia statunitense è in pericolo. Anche per questo prima Trump e poi Biden hanno deciso di abbandonare scenari di guerra dispendiosi e non più prioritari. L’Afghanistan è tornato in mano ai talebani, in Iraq verrà assegnato all’Italia il comando della nuova operazione di peace keeping. Il tutto mentre la Cina permette alla Bolivia di estrarre tonnellate di litio garantendosi un canale di acquisto privilegiato. I tesori custoditi nel Salar di Uyuni fanno gola a Pechino. Non solo il litio. La Cina già acquista il cloruro di potassio grazie al quale viene prodotto uno dei fertilizzanti più usati in agricoltura.
Tuttavia la legge boliviana fa sì che la maggioranza degli introiti realizzati grazie alle risorse del sottosuolo restino al popolo boliviano. L’YLB, l’unica società responsabile del Paese è, ripeto, 100% pubblica. Può avvalersi per l’estrazione mineraria o per la trasformazione industriale di società miste purché il 51% della proprietà di ogni impresa resti in mano pubblica. Questo è il modello scelto dal governo Morales anni fa e oggi implementato dal presidente Arce, ex ministro dell’Economia di Evo. Un modello contrastato dagli Usa che vorrebbero tornare agli anni in cui le multinazionali straniere dominavano gli altipiani andini. Occorre capire come si muoverà Washington: in passato ha sempre reagito violentemente alle politiche di nazionalizzazione. A Venezuela e Iran (rispettivamente 1° e 4° riserve petrolifera al mondo) hanno imposto sanzioni durissime. Nel 1954, Jacobo Arbenz, presidente del Guatemala, venne deposto con un colpo di Stato organizzato dalla Cia perché aveva osato distribuire i terreni incolti della Chiquita ai contadini senza terra. L’anno prima, in Iran, il premier Mossadeq venne cacciato a seguito di un golpe organizzato ancora dalla Cia e dai servizi segreti britannici. Mossadeq aveva nazionalizzato l’Anglo-Iranian Oil Company (l’odierna BP) nonché la raffineria di Abadan, all’epoca la più grande al mondo.
Si tentò anche di rovesciare il governo Castro reo di aver nazionalizzato le banche statunitensi che appartenevano ai Rockefeller e la West Indies Sugar, l’impresa che controllava la gran parte della produzione di zucchero dell’isola il cui numero uno era Herbert Walker Jr., zio di Bush padre e prozio di Bush figlio. L’invasione della Baia dei Porci fallì e da quel giorno Cuba è sotto embargo. Anche Salvador Allende subì un colpo di Stato e anche a lui inglesi e americani non perdonarono una nazionalizzazione: quella della produzione del rame. Allora a Washington si opponeva l’Urss forte militarmente, ma debole geo-politicamente.
La Cina porta avanti altre strategie. Nel Salar di Uyuni, 88 pozzi pompano centinaia di migliaia di chilolitri di salamoia nelle enormi piscine di evaporazione dove il sole e l’intervento umano permettono la separazione e la produzione di sodio, magnesio, potassio e litio. Eric Laurent in La verità nascosta sul petrolio scrisse: “Il mondo del petrolio è dello stesso colore del liquido tanto ricercato: nero, come le tendenze più oscure della natura umana. Suscita bramosie, accende passioni, provoca tradimenti e conflitti omicidi, porta alle manipolazioni più scandalose". Vedremo come sarà il mondo del litio. Se sarà bianco come i deserti di sale boliviani o il candore altro non sarà che un abbaglio. Quel che è certo è che mentre Usa e Cina muovono le loro pedine, l’Europa (salvo, in parte, la Germania) resta immobile come quei turisti che si scattano foto sul Salar alla ricerca di uno stravagante effetto ottico. Stravagante proprio come il Vecchio continente: potrebbe contare, ma conta sempre meno. Incapace di difendere i propri interessi, incapace di disobbedire dagli Usa. Incapace di fare strategia. Un continente restato in gran parte anch’esso un effetto ottico.
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